giovedì 15 giugno 2017

PSICOPATOLOGIA DA CELLULARE 1


(...) I nuovi mezzi di comunicazione che velocizzano il tempo e
      riducono lo spazio forse non provocano nuove patologie, ma
      certamente amplificano quelle che uno già possiede: le
      evidenziano, le rendono pubbliche, le mostrano a tutti. Se
      fossimo buoni osservatori di noi stessi - forse - per conoscerci,
      potremmo risparmiarci le sedute psicanalitiche e prestare
      attenzione all'uso che facciamo di Internet, della posta
      elettronica, del cellulare, che sono grandi rivelatori del
      rapporto che abbiamo con la realtà e con gli altri. In
      particolare l'uso nevrotico del cellulare rivela, secondo lo
      psicologo Luciano Di Gregorio, diversi aspetti della nostra
      personalità, quali ad esempio :

     L' INTOLLERANZA DELLA DISTANZA

     Non c'è dubbio che da un punto di vista psicologico, il cellulare
     è un moderatore e un regolatore dell'angoscia di separazione,
     determinata non solo dalla distanza fisica, ma soprattutto da
     quella più intollerabile di natura sentimentale che nasce dai
     vissuti di mancanza e di perdita dei contatti con l'altro. E' un
     sentimento - questo - che abbiamo provato più volte da
     bambini quando la mamma si assentava. La possibilità che il
     cellulare ci offre di superare questa distanza e sopperire a
     questa assenza, dice quanto le sindromi infantili sono presenti
     e attive in noi e quanto - incapaci di superarle - le tamponiamo
     con il mezzo tecnico.
     Ma chi è un uomo che non sa tollerare la distanza e l'assenza,
     che non sa stare solo con sé, che traduce subito la solitudine
     in vissuto di abbandono, quando non addirittura di una perdita
     di identità?. "Pur avendo il cellulare sempre acceso, non mi
     chiama e non mi scrive nessuno, quindi sono nessuno."
     I sentimenti non hanno mediazioni razionali, il loro modo di
     procedere è da cortocircuito. Le conclusioni arrivano presto.
     E allora mettiamoci noi a telefonare, a chattare, a scrivere
     mail, non perché abbiamo davvero qualcosa da dire, ma per
     soddisfare un bisogno di sicurezza incrinato, da ricostruire con
     contatti continui, per non dire compulsivi. Non tolleriamo la
     distanza, non sopportiamo l'assenza, viviamo come dono degli
     altri, come loro concessione, in uno stato di dipendenza
     parziale o totale, che la dice lunga sul nostro stato infantile e
     sulla nostra mancanza di autonomia . (...)


       Umberto  Galimberti   da     I Miti del nostro tempo

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