Admeto e Alcesti, dal Sarcofago di C. Junius Euphodus e Metilla Acte ( Musei Vaticani).
La vicenda di Alcesti è strettamente legata a quella di Admeto, suo sposo.
Admeto, re di Fere in Tessaglia, è un personaggio della mitologia greca. Egli venne aiutato dal dio Apollo ad ottenere la mano della
principessa Alcesti, figlia del re Pelia. Alcesti aveva così tanti
pretendenti che Pelia stabiliì per loro un compito apparentemente
impossibile : avrebbero cioè dovuto legare al giogo di una biga
un cinghiale ed un leone. Apollo imbrigliò gli animali e Admeto
guidò la biga fino a Pelia, riuscendo così a sposare Alcesti.
Admeto tuttavia si dimenticò di fare un sacrificio alla dea Artemide, protettrice delle vergini. La dea, offesa, riempì la camera nuziale di serpenti e nuovamente Apollo giunse in suo soccorso.
Ma l'aiuto più grande che il dio diede ad Admeto fu quello di
persuadere le Moire ( divinità che presiedevano alla vita dei mortali ) a rimandare il giorno della sua morte:
Apollo le fece ubriacare e queste accettarono il rinvio, a patto che Admeto fosse stato in grado di trovare qualcuno che morisse
al posto suo. Admeto credette inizialmente che almeno uno
dei suoi anziani genitori sarebbe stato lieto di prendere il posto
del figlio. Ma così non fu. Quando fu chiaro che questi non
erano disponibili, fu sua moglie Alcesti a scegliere di
morire al suo posto . La scena della morte viene descritta nell'
" Alcesti" di Euripide, dove Tanatos, il dio della morte, conduce
Alcesti negli Inferi. Mentre Alcesti vi discende, Admeto scopre di
non voler più vivere. La situazione viene salvata da Eracle che
discende negli Inferi per salvare Alcesti, lottando con Tanatos, fino
a quando il dio accetta di liberare la donna.
La lirica di Rilke ci descrive il momento culminante della vicenda,
quando Alcesti, per il grande amore che portava al marito, decide di sacrificare la propria vita al posto suo.
Questa poesia è - in sostanza - un grande inno all'amore.
( f )
" A un tratto il messo era comparso, come
un nuovo giunto, immerso nel tumulto
della festa di nozze, fra la gente.
Ed essi, i bevitori, non sentirono
il dio dal chiuso andare, che portava
la sua divinità come un mantello
umido, e parve loro uno dei tanti
mentre passava. Ma improvvisamente
vide in mezzo ai discorsi uno degli ospiti
a capo della tavola lo sposo
come non più giacente, ma rapito
in alto, rispecchiare dal profondo
un'ombra estranea che paurosamente
gli si volgeva...E subito fu chiaro,
fu calma, solo con un resto
a terra di torbido rumore, un gorgogliare
di balbettii cadenti, già corrotti,
di sorde risa rattenute. Allora
riconobbe il dio, l'agile dio
che stava, pieno della sua missione,
implacabile, - e quasi si comprese.
Pure, quando fu detto, parve più
d'ogni scienza, cosa da non comprendere.
Deve morire Admeto. Quando? . Adesso.
Ma egli ruppe la scorza del dolore
in pezzi e ne distese alte le mani,
come per trattenere il dio fuggente.
Anni chiedeva, solo un anno ancora
di giovinezza, mesi, pochi giorni,
ah, non giorni, ma notti, una soltanto,
solo una notte: questa notte: questa.
Il dio negava. Gridò allora Admeto,
gridò vani richiami a lui, gridò,
come gridò sua madre al nascimento.
Ed ella venne a lui, la vecchia donna,
e anche il padre venne, il vecchio padre,
e stettero invecchiati, incerti, presso
lui che gridava e a un tratto fissò in loro
lo sguardo, s'interruppe, inghiottì, disse:
" Padre,
importa molto a te di questo avanzo
di vita che ti vieta ormai l'amplesso?
Su, gettalo. E anche tu, tu, vecchia donna,
Matrona,
perché vivi tu ancora? . Hai partorito. "
E li teneva vittime all'altare
in una presa. Ad un tratto lasciò i vecchi,
li spinse via da sé mentre chiamava
anelante, ispirato : Kreon! Kreon!
E solo questo. Solo questo nome.
Ma sul suo viso quello che non disse
era impresso inattesa senza nome;
e ansante verso il giovane, il diletto
amico, oltre la tavola sconvolta
si protendeva: i vecchi, vedi, sono
consunti - misero riscatto - e poco
valgono, mentre tu nella pienezza...
Ma l'amico era come dileguato.
Allora tacque, e chi venne fu lei,
esile forse più di prima, e lieve
e mesta nella sua veste nuziale.
Gli altri non sono che la strada a lei
che viene, viene... (e subito sarà
tra le braccia che s'aprono al dolore.)
Ma Admeto attende ed ella non a lui
si volge. Parla al dio che la comprende,
e tutti la comprendono nel dio.
Nessuno è a lui compenso. Io solamente.
Io lo sono. Perché nessuno è al fine
come me. Cosa resta a me di quello
ch'ero qui? Cosa resta oltre il morire?
Lei non ti ha detto nel mandarti a noi
che quel giaciglio che di là ci aspetta
è d'oltretomba? . Io già presi commiato,
io presi ogni commiato.
Nessun morente più di me, che vengo
perché tutto, sepolto sotto quello
che è il mio sposo, svanisca, si dissolva.
Prendimi dunque: prendimi per lui.
Come la brezza che si leva al largo,
il dio si avvicinò, quasi a una morta
e fu lontano subito dall'uomo
a cui in un breve gesto egli donava
tutte le cento vite della terra.
Admeto, vacillante, li rincorse
per aggrapparsi, come in sogno. E loro
erano già dove le donne in pianto
gremivano l'uscita. Ma una volta
ancora egli le vide in viso, indietro
rivolto, in un sorriso chiaro come
una speranza, una promessa : a lui
tornare adulta dalla cupa morte,
a lui vivente...
Allora egli le mani
premette sulla fronte- inginocchiato -
per non vedere più che quel sorriso. "
Rainer Maria Rilke da Dalle nuove poesie
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