lunedì 2 gennaio 2017

IL CODICE DELL'ANIMA - LA BELLEZZA 1




(...)Di tutti i peccati della psicologia, il più mortale è la sua
      indifferenza per la bellezza. Una vita - in fondo - è una cosa
      bella. Ma, leggendo i libri di psicologia, non lo si
      immaginerebbe mai. Ancora una volta, la psicologia viene
      meno di fronte al suo oggetto di studio. L'apprezzamento
      estetico delle biografie non trova spazio né nella psicologia
      sociale né in quella sperimentale e nemmeno nella psicologia
      terapeutica. Il loro compito consiste nell'indagare e nello
      spiegare, e se per avventura dovesse saltar fuori nel materiale
      studiato un fenomeno estetico ( e non solo in casi cosi
      manifestamente estetici come quelli di Jackson Pollock, di
      Colette o Manolete), esso verrà spiegato da una psicologia
      priva in partenza della minima sensibilità estetica.
      Ciascuna svolta del destino può avere la sua interpretazione,
      ma ha anche la sua bellezza. Basta guardare l'immagine di
      Menuhin che volta le spalle infuriato al giocattolo dalle corde
      di metallo; " Pappamolle" che fa navigare le sue barchette
      nella vasca; il piccolo Gandhi con le sue orecchie a sventola
      e le sue paure. La vita, intesa come immagini, non sa che
      farsene di dinamiche familiari e predisposizioni genetiche.
      Prima di diventare una storia, ciascuna vita si offre alla vista
      come una sequela di immagini. Chiede innanzitutto di essere
      guardata. Anche se ciascuna immagine è certamente pregna
      di significati e suscettibile di un'analisi notomizzante, quando
      saltiamo ai significati senza apprezzare l'immagine, perdiamo
      un piacere che non potrò essere recuperato da nessuna
      interpretazione, per quanto perfetta. Senza contare che avremo
      eliminato il piacere della vita che stiamo considerando : la
      bellezza che essa dispiega sarà diventata irrilevante per il suo
      significato.
      Con peccato " mortale" della psicologia, intendo il peccato del
      mortificare, quel senso di morte che ci prende nel leggere la
      psicologia degli addetti ai lavori, nell'udire la lingua, la voce
      monotona, nel vedere la ponderosità dei suoi testi, la
      pretenziosità seriosa, i pomposi annunci di nuove " scoperte",
      che più banali non si può, i placebo tranquillanti del fai-da-te
      psicologico, le sue scenografie, le sue mode, le sue riunioni di
      Facoltà e i suoi studi e ambulatori, quelle acque stagnanti
      dove l'anima si reca per farsi curare, ultimo rifugio di una
      cultura abburattata, che sforna panini bianchi stantii e senza
      crosta, muro di gomma contro cui rimbalza la speranza. (...)


          James Hillman   da    Il  codice  dell'Anima

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