giovedì 31 gennaio 2019

L'APPRENDISTA STREGONE

 
 

                     Desidererai la lingua degli angeli, una luce fissa e non altro dolore…


Gli algoritmi complessi del gioco,
modelli di abili matematiche
e avidità, sono per pochi. Un vuoto
fino a mascherare la partita
vera: la gestione del rischio
contro lo spingere oltre, togliere il freno
minimizzare. " Lo fanno tutti.
Noi chi siamo?
                    A fermare il tempo,
le storie, sono uomini senza nome
e senza nostalgie, simili a noi
che ci crediamo migliori. Abbiamo tutti
vicino cose fredde, le amiamo".

Come tutti ci facciamo lontani.


                                             ***


Oggi che narrare diventa acciaio, metrica
di un XXV aprile visto dal monte sul mare,
non ci sei. Notizie dall'ultimo grido
dopo l'alba fredda. Avere abbastanza
cuore.
                       La neve dopo fu una strategia possibile,
un privato conteggio
degli angeli prima del nostro battesimo
del fuoco: uscire nello spazio
per essere colpiti, per comprendere
nella carne l'esatta presenza di tutto
quando è inizio. Il resto è questa vita: Caterina

ha sognato i draghi stanotte e racconta ieri
come fosse un quadro e noi
tutti dipinti in aprile siamo
questa famiglia, la quota di desiderio
che abbiamo dissotterrato.

E anche tu, da dentro l'idea d'innocenza
che ho sentito, risponderai dell'unica decisiva
sentenza domestica: a chi siamo mancati?


                                                ***

Non è vero che l'esperienza del dolore è uguale.
Resta alla fine del giorno,
lungo il crinale della sera, un discorso
aperto, qualcosa che non si può dire.
                                            Lo sappiamo :
chi sa come guarire sa anche uccidere. Ancora:
ciò che è universale
è il vuoto e non il senso. Verità
che valgono per tutti. E su questo
i ministri della consolazione inventeranno
anche per te il linguaggio
dell'esperienza del dolore e del male;
appresteranno il codice entro cui leggerai
l'esperienza di sofferenza che ti aspetta.

Ecco, il vero punto omega è questo : quando
mi vedrai morire sarai unica,
separata dagli altri, non sostituibile. Ci allontaneremo
anche per questo, in quel momento. Saremo
una scommessa, punti che si cercano, come
lontani pianeti imprudenti, soli
e persi nel desiderio di solcare i cieli.


                                               ***


Le scatole sono azzurre e verdi
e bianche, pure e semplici nell'ordine
in cui le ho disposte, sul tavolo
scuro, tua madre. L'ossigeno
sibila ogni tanto. Fuori quella rete
ordinata di strade e terre, di canneti
lungo i canali e il movimento
dell'erba al vento marino, e le foglie
degli alberi da frutta. In un aumento
del buio chiederai di lei, anche tu
stanca e debole per le visite
degli sconosciuti, per la natura
e la vita che si organizzano
in nuove forme.
                       Anche tu
sul flusso del mondo
desidererai la lingua degli angeli,
una luce fissa, e non altro dolore.


                                              ***


La mia mano la mia vita alla tua si salda
perché la poesia possa dire più della prosa
le costellazioni che si fissano
violente nelle nostre vite, nelle menti,
quando ti muovi ed esisti
nell'ansia prima dell'attacco.
                                       Un'estate
di molti decenni dopo
su quella roccia come fosse una
il prolungamento dell'altra, una resistenza dopo
la resistenza, l'avvenimento del tuo futuro.
Tu - il grande innocente - sei qua. Profondo
e ricco di tracce, sei quello che penso
essere una vita, cumulo o stratificazione.
Eccomi: ho avuto le età, i giorni
come un figlio
lungo il fiume - d'estate qualche bagno, una bicicletta.
E sono stato il senso di vivere
per niente, il tempo diviso, l'assenza e il punto
di pressione che regge un mondo.

Vedo, sotto la cava, senza averlo visto mai,
il sentiero prima dell'addio.
                                 Qualcosa cede: le tue grida adesso
sono le mie, le ferite, quella luce che passa
fra le cellule buie. Sono anch'io un corpo che muore
d'estate nel sangue disperso. Un figlio recuperato da un padre
a fine agosto. La mano di carta pecora, il viso.
Sono davvero io dentro le storie sentite,
un pianto, un lamento grande: non è possibile
tenere vivi tutti i significati. La memoria
è non ricordare tutto quello che vorrei. Accade
anche per le cose che più amiamo. Lo so. Non importa:
sopra i nostri versi sulla morte - a sera - una salute
coi monti collabora, ci tiene, e siamo
quello che accolti ai figli le stelle dicono.



               Gabriel Del Sarto    da      Il grande innocente


mercoledì 30 gennaio 2019

ERO STRANIERO E MI AVETE OSPITATO ( Presentazione )


Questo libro è una lunga riflessione sul tema dell'ospitalità. Spinto dall'urgenza di affrontare i fenomeni dell'immigrazione e dell'integrazione - di quotidiana e spesso drammatica attualità - Enzo Bianchi cerca nell' Antico e nel Nuovo Testamento risposte complesse e non condizionate da facili pregiudizi.
E' etico - infatti - accogliere qualcuno senza potergli fornire una casa, cibo, vestiti, lavoro, ma soprattutto una soggettività e una dignità nel nostro corpo sociale?
Partendo dal presupposto che l'accoglienza è altra cosa dal soccorso in caso di emergenza, e ricordando che i cristiani sono stati nella storia " stranieri e pellegrini "che hanno dovuto subire la diffidenza, l'ostilità e addirittura la persecuzione, l'autore - con grande sensibilità e profonda conoscenza dei testi biblici, analizza la condizione dello straniero per riscoprire le origini dell'ospitalità al pellegrino, dell'apertura al viandante, che sono al centro dell'etica cristiana. Lo straniero è - sull'esempio del bellissimo episodio biblico di Abramo alle Querce di Mamre - una figura da accogliere ma anche - come è stato il popolo di Israele in Egitto- una figura capace di metterci in discussione, un'occasione per interrogarci su noi stessi, perché fare spazio all'altro significa arricchire la propria identità, aprirla ad orizzonti nuovi mettere le ali alle nostre radici.



                                    (  f  )

ERO STRANIERO E MI AVETE OSPITATO 1

 
 

" Colui che tu accogli, sia per te un dio".
      (Tatirya  Upanishad )


(..)Oggi, praticare l'ospitalità nei modi in uso presso le popolazioni
  seminomadiche del Medioriente,di cui anche l'episodio di Abramo
  a Mamre è testimonianza, appare sempre più difficile: un'antica
  consuetudine, presente in tutte le culture come dovere sacro, si sta
  smarrendo soprattutto in quella che chiamiamo la civiltà
 " occidentale". Le cause di tale fenomeno sono certamente
  molteplici. Il primo luogo, il declino della prassi dell'ospitalità è
  provocato dal carattere consumistico di questa società. Il mercato
  di oggi si è impadronito anche dell'ospitalità, strappandola alla
  gratuità e facendone un affare commerciale, un business: le
  strutture alberghiere e le diverse categorie di alberghi e hotel, di
  fatto sono accessibili solo a chi ha possibilità economiche. Se non
  si possiede una carta di credito non si può prenotare una stanza
  d'albergo. E a pochi passi dagli alberghi più o meno costosi, sulle
  panchine dei parchi o sui marciapiedi delle strade, si trovano
  sempre più folte schiere dei " senza casa", che si riparano con  un
  giornale o un cartone. Bisogna inoltre mettere in campo la mutata
  tipologia della presenza degli stranieri nelle nostre società. Una
  presenza non più sporadica o stagionale, ma  consistente, stabile
  e - a differenza dei flussi migratori conosciuti a partire dal XIX
  secolo - " plurale": gli stranieri giungono tra di noi da paesi,
  culture e mondi religiosi distanti da noi e tra di loro. Di
  conseguenza, molti degli " autoctoni" si sentono minacciati nella
  loro identità culturale e religiosa, oltre che in termini di
  occupazione e di sicurezza, così che gli stranieri finiscono con
  l'incutere paura. La paura di chi è diverso e il ripudio di forme
  culturali, morali, religiose e sociali da noi finiscono per
  spingerci sempre più velocemente verso la sfera del " privato",
  l'isolamento, la chiusura all'altro, magari mascherati da custodia
  della propria identità . (…)


             Enzo Bianchi   da    Ero straniero e mi avete ospitato

ERO STRANIERO E MI AVETE OSPITATO 2



(…)Va anche riconosciuto che,poco per volta,questo atteggiamento
     di diffidenza e di difesa tende ad inquinare tutti i nostri rapporti,
     al punto che finiamo per non praticare più l'ospitalità neppure
     nei confronti di chi possiamo definire-letteralmente -il prossimo,
     cioè chi è " più vicino", chi vive accanto a noi condividendo la
    stessa lingua e la stessa cultura.Così le nostre case assomigliano
    sempre più a fortezze protette da serrature, porte, cancelli,
    sistemi di allarme, telecamere, recinti e muri: siamo diventati
    progressivamente succubi di una mentalità che si restringe e si
    chiude a ciò che appare come " altro", sconosciuto, nuovo,
    diverso. Finiamo allora per pensare l'ospitalità soltanto come
    indirizzata a coloro che noi invitiamo: ma l'invitato non è un
    ospite, né le attenzione usate verso di lui sono ospitalità…
    L'altro, il vero altro- infatti-non è colui che scegliamo di invitare
    in casa nostra , forse anche con il retropensiero di essere poi a
    nostra volta invitati, bensì colui che emerge -non scelto - davanti
    a noi: è colui che giunge a noi portato semplicemente dall'
    accadere degli eventi e dalla trama intessuta del nostro vivere,
    perché l'ospitalità è " crocevia di cammini ". L'altro è colui che
    sta davanti a noi come una presenza che chiede di essere accolta
    nella sua irriducibile diversità; poco importa se appartiene a
    un'altra etnia, un'altra fede, un'altra cultura: è un essere umano
    e questo deve bastare affinché noi lo accogliamo. In altre parole,
    perché dare ospitalità ? Perché si è uomini, per divenire uomini,
    per umanizzare la nostra umanità.
    O si entra nella consapevolezza che ciascuno di noi, in quanto
    venuto al mondo, è lui stesso ospite dell'umano, oppure l'
    ospitalità rischia di restare tra i doveri da adempiere: sarà
    magari tra i gesti significativi a livello etico, ma si situerà su un
    piano fondamentalmente estrinseco e non diverrà un rispondere
    alla vocazione profonda dell'uomo, un realizzare la propria
    umanità accogliendo l'umanità dell'altro. (…)



                    Enzo Bianchi   da    Ero straniero e mi avete ospitato

ERO STRANIERO E MI AVETE OSPITATO 3


(…) Il considerarsi ospiti dell'umano che è in noi, ospiti e non
       padroni, può invece aiutarci ad avere cura dell'umano che è in
      noi e negli altri,a uscire dalla perversa indifferenza e dal rifiuto
      della compassione che , sola, può condurci a comprometterci
      con l'altro nel suo bisogno. Il povero, il senza tetto, il girovago,
      lo straniero, il barbone,colui la cui umanità è umiliata dal peso
      delle privazioni, dei rifiuti e dell'abbandono, del disinteresse e
      dell'estraneità, incomincia ad essere accolto quando io
      incomincio a sentire come mia la sua umiliazione e la sua
      vergogna, quando comprendo  che la mortificazione della sua
      umanità è la mia stessa mortificazione. Allora, senza inutili e
      vigliacchi sensi di colpa e  senza ipocriti buoni sentimenti, può
      iniziare la relazione di ospitalità che mi porta a fare tutto ciò
      che è nelle mie possibilità per l'altro. Ma dev'essere chiaro che
      l'ospitalità umanizza innanzitutto colui che la esercita : " Non
      ha ancora incominciato ad essere un vero uomo chi non ha
      vissuto la pietà per l'umanità ferita e svilita nell'altro" ( Don
      Pierangelo Sequeri "
      Scriveva  Jean  Daniélou ( teologo e cardinale francese, n.d.r ):

     " La civiltà ha fatto un passo decisivo, forse il passo decisivo,
        il giorno in cui lo straniero, da nemico ( hostìs ) è divenuto
        ospite ( hospes ); il giorno in cui nello straniero si riconoscerà
        un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo…"

       In effetti, il modo di concepire e vivere l'ospitalità è relativo al
       grado di civiltà di un popolo. Ospitare è uscire dalla logica
       dell'inimicizia, è fare del potenziale nemico un ospite.
      Dovremmo imparare a pensare il grado di civiltà in riferimento
       al livello dell'umanità e al rispetto dell'umanità dell'uomo, non
       in termini di tecnologia e di sviluppo. Nel praticare l'ospitalità
       si fà dunque più che mai opera di umanizzazione, come già
       aveva compreso con molta intelligenza Benedetto, il quale,
       nella sua Regola chiede che il monaco mostri all'ospite
      " ogni umanità ", mostri dunque ciò che è proprio degli uomini.
       Ma come praticare l'ospitalità? Proprio l'esperienza  della
       vita monastica che tanto insiste su questa pratica fino a farne
       la sua diakonia più nobile e sempre all'opera, e ben conosce
       che ospitare significa creare uno spazio per l'altro, dare tempo
       all'altro, può offrirci una  deontologia dell'ospitalità (…)



                    Enzo Bianchi    da    Ero straniero e mi avete ospitato

martedì 29 gennaio 2019

LO STORMO BIANCO DI ANNA

 
 
 
               Nessuna donna saprà cullarti come io ti celebro nei miei versi…


Sì, li amavo quei convegni notturni,
i bicchieri ghiacciati su un piccolo tavolo,
il vapore del caffè sottile, profumato,
il torbido caldo d'inverno, del rosso camino,
l'acre allegria dello scherzo letterario
e dell'amico il primo sguardo, angoscioso e smarrito.


                                          ***


Lascio la casa bianca e il muto giardino.
Deserta e luminosa mi sarà la vita.
Nessuna donna saprà cullarti
come io ti celebro nei miei versi:
non scordare la tua cara amica
nell' Eden che hai creato per i suoi occhi,
per me che spaccio una merce rarissima
e vendo il tuo tenerissimo amore.


                                           ***


Ho smesso di sorridere,
le labbra sono gelate,
ad una sola speranza
segue più di una canzone.
Senza colpa cederò il canto
al riso e alla profanazione,
ché al colmo del dolore
per l'anima è il silenzio
d'amore.


                                          ***


Ho davanti la via isoscele
della sera.
Già ieri innamorato
supplicava " Non dimenticarmi".
E adesso solamente i venti
e i gridi dei pastori
e i cedri agitati
sopra fresche fontane.


                                        ***


C'è nell'intimità degli uomini un confine
che né l'amore né la passione possono osare:
le labbra si fondono nel terribile silenzio
e il cuore si spezza per amore.

Anche l'amicizia qui è impotente, e gli anni
pieni di felicità alta infiammata,
quando l'anima è libera e distratta
dal lento languore della voluttà.

Pazzo è colui che vi si appresta,
raggiungerlo è morire d'angoscia…
Ora puoi capire perché non batte
il mio cuore sotto la tua mano.



                 Anna  Achmatova     da       Lo stormo bianco

LA SERA DI FOSCOLO

 
 

                   " Sdegno il verso che suona e che non crea…" (U.Foscolo )


ALLA SERA

Forse perché della fatal quiete
tu sei l'imago a me sì cara vieni
o sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.


                                    ***


DAL CARME DEI SEPOLCRI
( Esordio, vv 1-40  )

All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro?Ove più il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d'erbe famiglia e d'animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l'ore future,
né da te, dolce amico, udrò più il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né più nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell'amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a' dì perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben Pindemonte! Anche la Speme,
Ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve
tutte cose l'obblio nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe
e l'estremo sembiante e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.

Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l'illusion che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l'armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de' suoi? Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l'animo estinto
e l'estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall'insultar de' nembi e dal profano
piede del vulgo,e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molle ombri consoli.


                                      ***


IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, mi vedrai seduto
su la tua pietra, fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentili anni caduto:

la madre or sol, suo dì tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto:
ma io deluse a voi le palme tendo;
e se da lunge i miei tetti saluto,

sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta;
e prego anch'io nel tuo porto quiete:

questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l'ossa mia rendete
allora al petto della madre mesta.


                                                   ***


CANTO DI CASSANDRA
(  Conclusione, vv 272-295 )

E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovil lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri : e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti
e santamente toccherà l'altare.
Proteggete i miei padri. Un dì vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due volte risorto
splendidamente su le mute vie
per far più bello l'ultimo trofeo
ai fatali Pelìdi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti- Ettore - avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finchè il Sole
risplenderà su le sciagure umane.


                         Ugo  Foscolo   da      Poesie




lunedì 28 gennaio 2019

PENSIERO DELLA SERA

 
 


                     " Generosità non è elargire a qualcuno
                       quel poco o quel tanto che avanza dalla
                       tua vita, ma condividere ciò di cui tu
                       stesso hai bisogno".


                                          frida



47 POESIE FACILI E UNA DIFFICILE

 
 

"Sklovskij diceva che era un campione; Jakobson diceva il più grande poeta del Novecento; Tynjanov diceva una direzione; Markov diceva il Lenin del Futurismo russo; Ripellino diceva il poeta del futuro; e avevano ragione - secondo me - tutti; però avevano torto anche - secondo me - e avevano torto perché - secondo me - Chlebnikov è molto di più."  ( Paolo Nori ).


Velimir Chlebnikov morì a 37 anni ( nel 1922 ) a causa di una paralisi conseguente ad uno stato di inedia e  malnutrizione.
Pace a te !  frida  )


Poco mi serve.
Una crosta di pane,
un ditale di latte,
e questo cielo
e queste nuvole.


                                        ***


Gli uomini, quando amano,
fabbricando lunghi sguardi
e mandando lunghi sospiri.
Le bestie, quando amano,
riempiendosi gli occhi di foschia
e fabbricando morsi di schiuma.
I soli, quando amano,
coprendo le notti con un tessuto di terre
e incedendo a passi di danza verso l'amico.
Gli dei, quando amano,
abbracciando per intero il fremito dell'universo,
come Puskin - la fiamma dell'amore per la
cameriera  Volkonskij.


                                         ***


Russia, sei tutta un bacio nel gelo!
Azzurreggiano strade notturne.
In un lampo azzurro sono fuse le labbra,
azzurreggiano insieme le due.
Di notte un lampo vola,
a volte, dalla carezza di un paio di labbra,
e d'un tratto - agile - aggira
le pellicce, azzurreggiando, lampo senza sensi.
E la notte brilla, intelligente e nera.


                                           ***


La libertà arriva nuda,
gettando nel cuore dei fiori,
e noi, andando al passo con lei,
al cielo diamo del tu.
Noi, guerrieri, con coraggio picchiamo
con il braccio su scudi severi:
governo del popolo sia,
e sia sempre - per sempre - qui, là.
Alle finestre vergini cantino
in mezzo a canti sull'unico cammino,
del suddito fedele del Sole,
il popolo che si è liberato.


                                  ***


Oh, se i vostri occhi
nereggiassero, come gli stinchi degli stivali,
oh, se la vostra bocca fosse cantilenante
come la mucca che chiama il vitello,
oh, se con le vostre trecce
ci si fosse potuti impiccare
senza chinare la testa!


                                             ***


Brutali vecchi stracci di capelli,
un campo nero: la fronte.
Dei ceppi fradici in una palude: le labbra,
mammelle di capra selvatica : la barba,
corda da marinai: i baffi,
fanciulla di neve con una scopa nera: i denti,
notti insonni gli occhi azzurri
come buchi in una vecchia coperta.


                                             ***


Ma io vengo da te, in Tibet…
Mi cerco una casetta, là,
il tetto coperto di cielo,
cinte di vento le pareti,
il soffitto che guarda le erbe,
per terra dei fiori, verdi.
Là, calmerò le mie ossa.




           Velimir Chlebnikov  da  47 poesie facili e una difficile



IPOTESI DI FELICITA'

 
 

            Crede che per vivere si debba aspettare l'oltre futuro dei morti…


Si insinua il sospetto che la loro soluzione
sia la nostra rovina. Così si disfa il fuoco.
Un mulinello assorbirà ogni cosa
persino i baci della bocca. E il labirinto
affonderà nella siepe stessa. Così i pesci
saranno ferite dell'acqua, e sarà
il rumore delle foglie tra le foglie
come il sapore dell'aria nel caffè, del tiepido
poltrire nel letto, ormai
sfuocato. Mentre
si consumano i denti. Eh, sì
ci pentiremo di ogni smorfia della bocca,
persino dei sorrisi disarmanti. Così
dice allontanandosi: " A volte mi aiuta pensare
in decime di ottave, o guardare sul muro
le macchie di muffa che l'intonaco
trasforma in figure enigmatiche.


                                            *** 
 
Un gesto di zafferano
appoggi appena sulle labbra,
un'attitudine senza redenzione.
Mentre un urlo sale dal profondo
scuotendo la terra cava, canaglia
come diavolo o divorzio. E' l'anima.

Non so bene spiegarti,
ma se guardi per terra vedrai queste vene muoversi
come radici, qui dove le lettere si sciolgono
per disegnare il limite del bosco,
lì dove abbandonammo l'anima al silenzio.


                                              ***


Incomincia in un posto di mare
o in mezzo a una pianura stretta ai laghi,
crede che per vivere si debba aspettare
l'anno prossimo, l'oltre futuro dei morti.
Ci sono muffe nere nella testa.

Mentre la salute è un mistero sconcio, meraviglioso
e finalmente, senza futuro.



               Alberto Pellegatta    in   Nuovissima Poesia Italiana


LA CAVERNA DI PLATONE

 
 


                                           Il mio male era legato alla visione.


(…) L'estrema, e per me innaturale, calma che sento è forse dovuta
       al fatto che è come se avessi chiuso un cerchio. O più
       realisticamente, come nel mito della caverna di Platone, per
       quarant'anni sono stato prigioniero della mia opinione, per
      quarant'anni ho creduto passivamente non all'immagine diretta
      e sensibile di mio padre, ma alla sua ombra proiettata sulla
      parete della mia caverna. Io ho vissuto in un mondo illusorio
      in cui ho ricostruito l'idea di un padre inesistente, congelato in
      un tempo remoto immutabile. Io paragono il mondo che ho
      edificato attorno a lui  " alla dimora della prigione  e la luce
      del fuoco che vi è dentro al potere del sole". Allora - penso - il
      mio male è nato nella caverna. E' nato dalla visione, anziché
      delle cose reali, delle loro ombre. Io sono come il prigioniero
      di Platone, incatenato fin dall'infanzia, che non avendo
      esperienza del mondo esterno è portato a interpretare le ombre
     " parlanti". Io, per quarant'anni, dentro di me, ho parlato con
      l'ombra di mio padre, un'ombra maligna e austera, traditrice,
      abdicante; ho immaginato mio padre immerso in una vita mille
      volte migliore della mia, che mi guardava sprezzante, e la sua
      ombra mi ha condotto quasi alla follia. Io, nella mia caverna,
      non ho visto altro che questa proiezione. Il resto del mondo non
      è mai esistito ai miei occhi. Poiché ciò che credevo essere il
      resto del mondo, in realtà non era altro che l'alone soffuso dell'
      ombra parlante di mio padre. Il mio male non è quindi diretta
      conseguenza delle azioni di mio padre, ma effetto del preciso
      atto di volontà che ho compiuto da bambino:rinchiudermi nella
      caverna per vivere in contemplazione di quell'unica ombra
      immensa. E allora nulla è veramente mai esistito nei termini
      che ho creduto, neppure le persone a me più care.
      E così, dunque, la calma che ora sento non è altro che
      stupefazione, è l'attonita meraviglia che provo nella diretta
      visione del mondo, delle persone che amo, che io vedo - ora -
      per la prima volta nella loro oggettiva realtà. Adesso io nella
      caverna mi sono finalmente voltato, mi sono liberato delle
      catene  ho la faccia rivolta verso l'uscita; i miei occhi sono
      abbagliati dalla luce del sole, le forme dei miei cari mi
      sembrano meno reali delle ombre alle quali ero abituato, e la
      mia calma è dovuta alla contemplazione, al tempo che mi sono
      dato per abituarmi alla nuova realtà.
      Il mio male era legato alla visione.  (…)



                   Andrea  Pomella    da     L'uomo che trema


domenica 27 gennaio 2019

RITROVARSI, E LA VITA

 
 

" Senza amore di sé, neppure l'amore per gli altri è possibile :l'odio per se stessi è esattamente identico al flagrante egoismo e conduce alla fine al medesimo - crudele - isolamento, alla medesima disperazione " . ( H. Hesse )


(…) Incontrare dopo così tanto tempo una persona che si è
       conosciuta a fondo, con cui si è convissuto, e con la quale ci si
       è infine persi di vista al punto da averla data per morta,
       equivale a ritrovarsi al cospetto di un fantasma. E' un evento
       che ha del soprannaturale. Ma è anche un'esperienza
       culminante. Poiché non c'è niente - credo - che possa dare luce
       all'esistenza umana, illuminarla in tutto il suo ampio spettro,
      ponendoci davanti al suo stesso mistero- che è poi il mistero di
      noi uomini , esseri mutanti in continuo movimento, alterati dal
      tempo e dagli eventi, dalla somma spaventosa dei giorni - non
      c'è niente più di questo - penso - che riesca a rendere l'idea di
      quel che sia, in fondo a tutto, la cosa che chiamiamo vita . (…)



                 Andrea Pomella   da      L'uomo che trema


27 GENNAIO

 
 
 


                           " Se comprendere è impossibile,
                             conoscere è necessario "

                                           
                                                 Primo Levi

sabato 26 gennaio 2019

LA MEMORIA RENDE LIBERI 1

 
 

" L'indifferenza è più colpevole della violenza stessa: è l'apatia morale di chi si volta dall'altra parte " ( L. Segre )


(…) E' questione di pochi anni, poi non ci saranno più testimoni in
       vita della Shoah. E peraltro già oggi il loro racconto, la storia
       della loro esperienza nel giro infernale più raccapricciante
       della storia contemporanea, suscita una crescente indifferenza,
       come se fosse l'ennesima riproposizione di una vicenda già
       archiviata. E' quasi inevitabile che sia così, perché la memoria
       ormai si focalizza solo all'interno del perimetro di Auschwitz,
       il punto terminale della  Soluzione Finale. E in questo modo, la
       più spaventosa politica sistematica di persecuzione che il
       mondo abbia conosciuto, perde il suo contesto e diviene una
       sorta di questione privata tra due gruppi estranei al mondo di
       oggi. Non ci sono quasi più i nazisti che perseguitavano,
       rastrellavano e mandavano a morte di Ebrei, e tra poco non ci
       saranno neanche più i pochi superstiti della loro macchina di
       genocidio. I primi misero in atto la Shoah, ai secondi è toccato
       l'ulteriore scempio di rievocarla. Così, un'immensa tragedia
       storica, resa possibile da una rete decisionale di complicità e
       di omertà che copriva mezza Europa, è stata trasformata nel
       racconto di chi è riuscito a tornare, e nel silenzio totale e
       definitivo di tutti gli altri testimoni rimasti in vita: i milioni di
       tedeschi, italiani, olandesi, francesi, polacchi, cechi,
       ungheresi, rumeni e slavi che contribuirono attivamente - e
       spesso con uno zelo superiore ai loro orchestratori - all'opera
       di isolamento, identificazione, segregazione, rastrellamento e
       invio ai campi di sterminio degli ebrei, ma anche degli
       zingari, degli omosessuali e degli oppositori politici. Ogni
       anno, con la dolente routine ipocrita di chi concepisce il
       Giorno della Memoria come una data rituale, si chiama il
       sopravvissuto di turno a raccontare l'orrore alle scolaresche,
       si riproietta  Schindler's List o La vita è bella, e la coscienza
       civile pare salva.  (…)



       Enrico Mentana  ( Introduzione a ) La memoria rende liberi


LA MEMORIA RENDE LIBERI 2


(…) Lo è davvero? No di certo. Paraossalmente l'orrore assoluto
       dell' Olocausto copre, con il sangue e il fumo delle ciminiere,
       la vergogna assoluta della discriminazione progressiva degli
       ebrei d' Europa, cominciata ben prima dello scoppio della
       Seconda Guerra Mondiale e quindi non relativizzabile come un
       aspetto tra gli altri dell'inumanità di quel conflitto totale. E
       allora vale la pena rompere il rituale, fermare la recita,buttare
       la foto del nazista in divisa nera con rune e cane lupo, e dell'
       ebreo con cappellaccio,cernecchi, barba incolta e palandrana.
       Non è una storia di uniformi e palandrane, non è una storia di
       guerra, non è una storia di diversi. Nell' Italia fascista - e non
       solo in Italia - persecutori e perseguitati erano stati parte della
      stessa società,vestivano allo stesso modo e spesso la pensavano
      allo stesso modo sul regime. Eppure venne un giorno in cui i
    primi decisero che i secondi non avrebbero potuto più insegnare 
     o imparare, lavorare o possedere, fare impresa o risparmiare,
     per via della fede dei loro genitori, anche se persa o non
     tramandata. Erano semplicemente una stirpe, una discendenza
     da emarginare. Arrivarono poi direttamente, passando da
     alleati e occupandi, coloro che erano stati gli ispiratori di
     quella politica di discriminazione per trasformarla in
     annientamento.E in tanti italiani chiusero gli occhi, si voltarono
     dall'altra parte o aiutarono attivamente: l'orrore vero per me
     è lì, al primo metro del cammino per i campi. (…)



      Enrico Mentana  ( Introduzione a )  La memoria rende liberi


LA MEMORIA RENDE LIBERI 3


(…) Liliana Segre ( scampata all'Olocausto e senatrice a vita della
       Repubblica Italiana, n.d.r. ) sta per compiere otto anni quando
       il suo destino cambia per sempre. E' una delle migliaia di
       bambini delle elementari che non rientreranno a scuola, che
      non rivedranno la loro maestra e i loro compagni,e questo sarà
      solo il primo anello della catena persecutoria. E' alla sua
      memoria diretta che ci affidiamo di qui in poi per sapere e
      capire come quelle decisioni cambiarono le vite di tanti esseri
      umani, e direttamente la sua. Come abbiamo condiviso, e come
      è giusto che sia, il suo è un racconto in prima persona, una
      narrazione che non viene spezzata dalle domande; la 
      testimonianza di quel che veramente è successo, fatta da una
      donna che ha misurato - passo dopo passo - quella discesa agli
      inferi e la racconta con la precisione chirurgica di chi non ha
      mai smesso di essere cosciente, di guardare, di cercare di
      capire; con la memoria di una bambina costretta a lottare per
     la vita sotto l'ala di un padre che è stato tutto- famiglia assoluta
      per lei che non ha mai conosciuto sua madre ( la madre morì 
      a ventisei anni, quando Liliana aveva undici mesi, n.d.r. ). In
      lei c'è la stessa capacità di enucleare con apparente distacco
      gli elementi indispensabili per capire la sequenza di fatti,
      ferocia, connivenza e casualità, sul piano inclinato da quella
       cacciata da scuola fino ad Aushwitz e ritorno.  (…)



         Enrico Mentana  ( Introduzione a )  La memoria rende liberi




LA MEMORIA RENDE LIBERI 4


(…) Spesso si dice che il ricordo e la memoria di questi fatti storici
       spaventosi servono a tacitare le tesi e le argomentazioni di chi
       vorrebbe ridimensionare, circoscrivere o addirittura negare la
       Shoah; e che la memoria ci è indispensabile per impedire che
       tutto questo un giorno si ripeta. Per me invece tutto quello che
       Liliana Segre ci ricorda, è soprattutto importante e prezioso in
       sé, ci serve per sapere di noi,di come noi italiani isolammo una
      minuscola parte del nostro popolo,perfettamente indistinguibile
     dal resto.Di come la mettemmo ai margini, le requisimmo i beni,
      la mortificammo e poi la consegnammo agli sterminatori. E di
      come poi cercammo di cancellare quel crimine nazionale,dopo.
      Il ritorno di Liliana dall'inferno, come il ritorno di tutti gli altri
      scampati, è una seconda condanna del mito degli " italiani 
      brava gente". Semplicemente non si voleva sapere, e men che
     meno si voleva ricordare come,e da chi, era stato reso possibile
     tutto questo. Mai nessuno si è scusato con Liliana Segre. Mai
     nessuna rotella dell'ingranaggio, nessun volenteroso aiutante,
     nessun testimone della progressiva esclusione e persecuzione di
     quel padre e di quella bambina si è fatto vivo per manifestare il
     proprio sentimento, il proprio rammarico. Niente. Mai nessuna
     nuova teoria si è fatta carico in quel dopoguerra di capire, di
     aiutare,di far luce.La gran parte di quelli che avrebbero dovuto
     farlo- del resto- era già lì quando tutto avvenne.La quindicenne
        Liliana scoprì subito che quello che aveva subito non doveva
     interessare a nessuno, che i suoi tentativi di raccontare si
     scontravano con  parole volte a derubricare l' Olocausto come
     uno dei tanti guai di guerra.Enorme tragedia, enorme rimozione
     E allora anche lei accantonò tutto. E forse questo l'ha salvata.
     Sicuramente ha preservato- nitida e limpida - una testimonianza
     definitiva. Prima di cominciare a raccontare ha atteso che i suoi
     figli fossero grandi e solo allora anche loro- come tutti - hanno
     saputo. Così tacitamente aveva deciso con l'uomo della sua
     vita. Una vita laica e borghese, come era, e nelle intenzioni
     doveva continuare ad essere, quella dei Segre negli anni Trenta.
     Parlare per lei è ancora duro. Ascoltarla - per noi - è vitale.
     (…)


        Enrico Mentana  ( Introduzione a )  La memoria rende liberi