venerdì 31 agosto 2018






            
 

L'AMORE ABBRACCIA TUTTO

 
 

                                             Credo nel cuore. Senza questo non c'è niente.


CREDO

Credo nella rivelazione dell'amore, che sconvolge la vita.
Senza questo non c'è niente.
Poi viene il lavoro, sodo e tenace,
ma col soffio che spira, col flusso che trascina.
Credo nel cuore.
Senza questo non c'è niente.
Non venite a raccontarmi di volontà e costanza.
Non c'è volontà o costanza senza cuore.
Credo nella folgorazione che si chiama incontro,
per cui vale la pena di patire il dolore.
Senza questo non c'è niente.
Quando ti presenti, oltre la nebbia del mio Io, ringrazio
d'esserci, nonostante tutto.
Credo nella coincidenza che mi fa posare
lo sguardo al posto giusto nel momento giusto.
Senza questo non c'è niente.
Quante volte ho desiderato quel verso, quella pagina,
quel volto, e proprio ora - quando meno me lo aspetto -
leggo e vedo.
Non venite a raccontarmi che è solamente un caso.
E se anche fosse, gli sarei grato come a un Dio che mi
aspetta alla finestra, con gli occhi sulla strada deserta,
oltre la nebbia del mio Io.
Ecco in cosa credo.
Ora che la notte è scesa.
E il mio cuore finalmente vede.


                   Fabrizio  Centofanti


IO, O FORSE UN ALTRO 1

 
 

                                                  Avevi un tuo modo di parlare d'amore…


I RIAMATI

I sogni ( è noto a tutti ) sono fragili di fianchi,
hanno ossa sottili e poca resistenza.
Avevi un tuo modo di parlare d'amore.
Le donavi le belle giacche che avevi indossato
( le stava d'incanto quel taglio maschile )
e uno dopo l'altro nelle tasche vuote
le avevi lasciato tutti i sassi degli anni.
A lei questo piaceva.
Per lei coltivavi il medesimo abbraccio
che immancabilmente la stupiva,
mentre di spalle ti sentiva arrivare.
Ascoltava i tuoi cuori che tornavano a pulsare
sulla tastiera cupa, come appena riamati.
A lei questo piaceva.
Ogni sonno ti dormiva nel petto
con qualcosa di suo. La parte migliore
le avevi donato, non tutto.
L'equilibrio avrebbe dondolato
inevitabilmente instabile. Non fu abbastanza,
se non nei sogni gracili dei fianchi.


                                   ***


CARACAS

Ti chiamerò Caracas - la prediletta -
lo scheletro sinuoso che si flette
armonico, tutt'uno alle speranze,
fino al cuore bizzarro del troppo desiderio.
Caracas. La biancabruna nei capelli magici,
la struggente ballerina senza direzione.
Già solo mentalmente nominandoti
ti darò la vita ( nel luogo in cui genero mitici fantocci )
e alla sera stretta al mio fianco, con la corona
di fiabe che ti farebbe scudo,
ti guarderò con occhi obliqui,
appena una domestica sensazione di colpa,
e saprò stupire di saperti viva,
ma, ancora di più, felice.
Saremo gli inesistenti, i non più fragili.
Un giorno porrò fine ad ogni turbamento,
fosse solo per capriccio,
e a tutte le nostre vite presunte.
Ma non cederò quando - togliendoti la vita -
mi griderai d'incanto che anch'io non esisto.


                             ***


ACQUA

Se proprio dovessi sfilare un osso
dallo scheletro degli anni
da sotterrare con l'istinto del cane.
Se proprio dovessi scegliere una verità
( di quelle che appaiono essenziali )
avrei visto - per quanto mi riguarda -
proprio il suo fianco quando curva,
l'argine della riva.
Da avere almeno una certa direzione,
un lato in cui stare:
un semplice passaggio
tra la ghiaia del greto e il trifoglio fibroso.
Un lembo d'acqua, non altro,
che solleva lo sguardo al suo lungofiume,
di tanto in tanto, prima di passare.


                                ***


POESIA SENTIMENTALE DI UN GIOVANE LADRO

" Le mie idee non sono le vostre.
  Non è vostra la mia volontà "

Sento solo l'assenza che lacera alle caviglie
come il morso che stringe dei cavalli.
Ad un tratto, in un certo punto,
riconosciamo il dolore oscuro
e la parola…" mai più …"
Ci aiuterebbe, è un attimo,
separaci dal corpo e rimanere
all'ombra di noi stessi, di ciò che resta
e custodi di tutti gli assensi,
il legame implacabile.
Ora comprendo che vengo da te
qualunque cosa io sia
e come i grani di un rosario greco
gioco a sognare
del mio vecchio desiderio.


                             
                 Giovanni Nolfe   da   Io, o forse un altro


IO, O FORSE UN ALTRO 2



IO, O FORSE UN ALTRO

Io, o forse un altro
o addirittura entrambi
stiamo fra di voi
dissimulati. Ai bordi.
Quando scandagliamo il fondo
per frammenti di anime,
per le scorie emotive
rimaste fulgide
solo ai nostri occhi,
da guardare e riguardare,
da sezionare
ai microscopi affettivi
e poi catalogare
tra gli incantesimi,
nella sezione amori , e poi
nel più ampio oblio.
Questa lingua è intraducibile.
Impossibile che il mondo
vi sia compreso.


                        ***


LA STAGIONE PRIMAVERA

Quante volte è ricominciare? Dalle gemme
dai polsi a risalire, dalla vertigine del giorno
che si allunga a strappi, i muscoli affamati
e che dà alla testa. La tua struggente,
confusa primavera, dalle porte
socchiusa alla vaghezza. Tutto
fu reso possibile, tutto dimenticabile.
Tutto il tempo poteva diventare.


                         ***


LA STAGIONE ESTATE

Cosa serbi dell'estate e di tutto
quell'azzurro accatastato?
" Troppa luce, troppa per la tua natura",
dicesti. Malinconica. " Dovrai partire,
alla ricerca di un'altra stagione".
E sono andato, obbediente
alle necessità. E ancora non so
cosa serbasse l'estate, e il senso dell'azzurro.



                      ***


LA STAGIONE AUTUNNO

Brilla di un'amata lontananza
un punto d'oro più sottile
e la sua scheggia di vita.
Qui, dalle finestre opache
resta immensa la distanza,
lo scintillante autunno degli altri.
Eppure c'è una luna intorno a noi,
e il poco sole, e il colore ramato.



                    ***


LA STAGIONE INVERNO

Aspettammo dell'inverno l'abito essenziale,
il fianco brullo, la poca rabbia.
Lo sognammo nell'ultima
possibile fattura, nei pochi
metri della stanza: i cani
che ci saltavano sui letti
coi nasi umidi della buona salute.
Fu l'inverno del vivere, del non morire.



                Giovanni  Nolfe   da       Io, o forse un altro


giovedì 30 agosto 2018

HANNAH E LE ALTRE ( Introduzione )


                                                                  

 
 
Hannah Arendt
 
 

 
 
Rachel Bespaloff
E' questo un libro sulla differenza femminile. Simone, Rachel e Hannah sono tre donne, diversamente grandi, che con il loro sguardo hanno illuminato le tenebre del Novecento e hanno saputo leggere il mondo. Tutte e tre hanno vissuto gli stessi anni di guerre, totalitarismi e barbarie. Hanno affrontato  le tempeste e i momenti più bui senza mai sottrarsi alla riflessione, all'impegno e alla ribellione. Simone e Rachel si sono sfiorate, Rachel e Hannah appena incontrate, eppure un forte quanto esile filo rosso ha intessuto la trama dei loro destini. Tutte e tre si sono confrontate con i grandi temi della violenza e del potere, ognuna secondo la propria indole e mettendo in campo la propria biografia. Simone, Rachel e Hannah hanno scritto e trattato i propri testi come se fossero sogni, scritture della mente e del cuore, personalissime elaborazioni dell'atto di vivere che tratteggiano una strada verso l'esistenza. E sono arrivate a toccare la materia pulsante della vita. Simone Weil è la più " strana" del gruppo, né brutta né bella, insolente e tenera, ardita e timida insieme. Fin da bambina si esercita al sacrificio, al digiuno e rifiuta i privilegi della sua classe. Non prende più zucchero quando sa che scarseggia per la povera gente, non porta le calze d'inverno perché non tutti ce l'hanno. E' intransigente e radicale, a costo di apparire ridicola. Ha una sincera aspirazione di giustizia e ha bisogno di verità in modo fanatico.Muore il 24 Agosto 1943, a 34 anni nel sanatorio di Ahford.
 
 
 
Simone Weil
 

Rachel Bespaloff è la più misteriosa, la più segreta, sfuggente e riservata. Non ha titoli accademici ed è priva di riconoscimenti se non all'interno di una cerchia di filosofi di cui si sente sorella e amica. Tutto in lei è obliquo: Rachel è straniera, nomade, autodidatta. E' una donna di una bellezza patetica che suona benissimo il pianoforte, si nutre di libri e scrive continuamente, in controcanto. Perché di tutto quello che accade intorno a lei e di tutto ciò che legge, si sente chiamata a rispondere. Muore suicida nell' Aprile del 1949 a 54 anni.
Hannah Arendt è la più conosciuta delle tre, forse la più forte, certo la più fortunata. Sfrontata e- a volte - arrogante in pubblico, in privato è gentile e attenta, fedele e profonda nell'amicizia. Scrive e riflette sempre a voce e a testa alta. Muore il 4 Dicembre 1975 a 69 anni, negli U.S.A.


                       frida

L'ASCOLTO DI HANNAH, SIMONE E RACHEL


(…) L'altro mi parla e si apre a me nell'atto di parola; e io stessa
       mi apro grazie all'altro a una forma di trascendenza. E al di là
       della realtà che si mostra, ne scopro un'altra a cui giungo per
       immaginazione, per immedesimazione, per fede. La lettura è
       un'apertura sull'essere, una finestra sul mondo.
       E se i Greci sono gli uomini del Mito, queste donne ebree
     ( Simone Weil, Hannah Arendt, Rachel Bespaloff ) sono " gli
      uomini del Libro".Uso il termine" uomini"come lo usa Hannah,
       al di là del sesso, per dire però che ci sono momenti in cui quel
       termine universale ha un volto di donna. Qui sono delle donne
       a leggere e a pensare, ed è un pensiero nuovo,che tocca altezze
       e profondità inaudite.Nell'intreccio,nel rimbalzo musicale delle
       differenti voci, la nota femminile si leva in tutta la sua
       differenza, nell'acuto modulato alto e sostenuto del soprano,
       secondo una frequenza di ritorni, ripetizioni, variazioni che
       introducono a una meravigliosa diversità.
       Ecolalie, le chiamo. In certe afasie,l'ecolalia si manifesta come
       la ripetizione meccanica di parole, spesso in fine di frase,
       quasi che ripetendo l'ultima parola, chi parla prendesse la
       rincorsa verso parole nuove… Quasi che masticare in bocca
       vocali e consonanti servisse a tenere in funzione il meccanismo
       del pensiero. Ecco, questo a me accade in compagnia di
       queste tre donne,che illuminano la mia vita con i loro pensieri.
       Ma lo stesso accade a loro, tra di loro: il loro è pensiero in
       conversazione, sempre in dialogo, mai monologico.
       Magistrale in tal senso è il loro apporto: perché una donna sa
      - se ascolta la propria umanità - che l'ideale non sono né la
       potenza né il potere - ma la cura - la protezione del niente che
       c'è. E del niente che non c'è - per riprendere l'immagine del
       poeta Wallace Stevens. Una donna sa che nella capacità di
       fare il vuoto, di accettare il vuoto, c'è la chance dell'estasi.
       E nell'obbedienza della ripetizione la libertà dell'ascolto.
       L' opera brucia al fuoco della realtà, ma questo sacrificio è il
       modo per fuggire " dalla vuota regione della bellezza ",afferma
       Hannah con una manifesta ripresa di un tema caro a Simone.
       La quale direbbe che solo la letteratura che passa dalla parte
       della realtà ha la grandezza della poesia -dove l' Io si consuma
       per accedere all' " essere ".  (…)


               Nadia Fusini   da      Hannah e le altre

IL RITORNO DELL'... ARGENTINO 1

 
 

                                                         Dice che non c'è addio nelle asole…



Scrivere è togliere spazio al male,
è addomesticare la paura
che torna selvatica a ogni respiro;
è tentativo di conoscere
se nella radice dell'albero dimorano
necessità e libertà,
se nel suo tronco è la misura
di altezza e statura,
se nella sua chioma nidificano
verità e verosimiglianza,
adesso che so stare sotto la sua ombra,
lo svantaggio umano.


                              ***

Non so quale felicità avremmo vissuto,
o quale guancia avremmo offerto all'offesa:
se felicità c'è stata, se c'è stata offesa.
Così lo scrivo, ne faccio segno
per capire come si spiega l'albero, la potatura,
il papavero, lo strappo,
i bambini, il tempo e lo spazio:
- dove va la notte quando è giorno?
- mezz'ora è tanto o poco?
O come si spiega il vuoto degli esseri
che ci stanno accanto come un'assenza,
o il senso irsuto della vita,
il suo difficile che diventa facile
quando cominci ad amare.


                            ***


Sommale le storie, fanne cifre aguzze
come gli anni di quelli vissuti
sulla capocchia di uno spillo;
prendimi il fiato, la rincorsa;
trattienimi dentro silenzi
in ascolto delle radici,
del crescermi dell'anima
mentre scrivo per sapere che cosa è natura
e cosa è sostanza e come fa a essere buono
un frutto o un uomo.


                             ***


Dammi la pietà dell'ombra,
il suo accasciarsi nella luce,
la sua invincibile resa,
la sana ricorrenza
del mio a tutto essere prossima
e sufficientemente buona.


                             ***


Le cadute le ho qui
sulle ginocchia, sui gomiti,
sui palmi della mani: graffi e crosticine
che la notte crescono, fioriscono.
Tu sii allora il mio giardiniere fedele,
rendi santo l'innesto tra il bene e il male,
così che il dolore non sia nella carne
ago o lama, ma sia scossa, sia onda,
sia ciò che avvolge e feconda
per un unico frutto.


                             ***


Dice che non c'è addio nelle asole:
e asola allora sia
- poca materia intorno e vuoto.
Sia passaggio e allaccio,
sia lo spazio dell'abbraccio,
sia pertugio e rifugio,
sia il chiaro
esposto alla parola.


           Lucianna  Argentino     da      L' ospite indocile

IL RITORNO DELL'... ARGENTINO 2



Gli abbracci vuoti,
da braccia nude,
senza niente in mezzo.
Solo abbraccio.
Solo contrarsi di muscoli e tendini,
solo flettersi della pelle
sulla pelle di ciò che è carnale e basta
in comunione con l'attimo del concepimento.
Vita sottratta alla morte - questo è nelle parole,
aratro sulla carne a scavare solchi complici
del potenziale elettrico del cuore.


                          ***


Dammi un parlare buono
quanto il silenzio a fiotti
dal sonno di un bambino
in cui s'inarca il buio
nel tentativo di farsi luce di costola,
arco sotto cui scorre
il nostro stare separati e contigui.


                       ***


Credo nel tempo dell'attesa
nutrito di digiuni
e di astinenza dal certo,
del silenzio utile alla fatica
perché la dedizione
sfidi il fiato e l'ansimare
di chi non ha pianure,
né parole dentro
attraverso cui essere raggiunto.


                    ***


Non è che l'ombra del silenzio
questa parola che irrompe
e sgorga necessaria come tutto il bene
che in questo momento è compiuto
nel basso della terra
e si misura ad altezza d'uomo.


                       ***


E' un castigo
lo stare sempre a guardare
il vuoto, la mancanza
in perdita di luce
in calo di pienezza.


                            ***


Basta additarci, basta l'ingratitudine,
l'aspettarci sempre un segno
e non saperlo riconoscere,
non saperci segno. Dammi allora almeno
la capacità di dirlo con parole conosciute,
semplici, quotidiane
come quando chiedo il pane
o un bicchiere d'acqua, ma vanno bene
pure parole un po' sbagliate
come Damiano quando dice " pesa un chilometro".
Dammi allora la capacità
di tracciare piano piano, giorno dopo giorno,
la mappa del tuo corpo e che sia come quando
l'anima viene alla superficie
e si distende sulla pelle.


            Lucianna  Argentino   da      L' ospite indocile


mercoledì 29 agosto 2018

L' AMICIZIA DI ROSSANA

 
 

" La legge del dono fatto da amico ad amico, è che l'uno dimentichi presto di aver dato, l'altro ricordi sempre di aver ricevuto " ( Seneca)


(…) L'amicizia è un rapporto che presume autonomia delle due
       persone, una struttura forte, presente o possibile del loro Io.
   ...Passione viene da patimento(dal latino cum patior - sopportare
      con, n.d.r. ) sofferenza: è un amore che si confessa
      disperatamente bisognoso per sanare sé,ricostituirsi da lontane
      ferite, rassicurarsi da lontane negazioni, essere garantito nella
      domanda ultima : ma io conto a sufficienza per qualcuno da
      essere certo, certa di esistere? Per qualcuno?. Sbaglio: per
      quell'uno o una da cui solo può venirmi la risposta...quella è
      passione. Nell'amicizia, questa domanda terribile, demolitoria
      o risanatrice, non c'è:si è amici quando l'altro, l'altra è assunto
      e prezioso per quel che è, e non per quel che ci dà o gli
      domandiamo… Come poteva la donna conoscere l'amicizia?
      Lei che difficilmente poteva dire di possedere anche se stessa, e
      prima di sé doveva mettere nella scala dei rapporti il marito,
      il figlio, il padre? Lei che non era libera di disporre del suo
      tempo né del suo futuro?
      E' della passione finire, dell'amicizia durare.
      E così due amiche sono anche il comporsi di una coscienza di
      sé finora rimasta oscura o poco detta.  (…)


                  Rossana  Rossanda      da     Anche per me

( Avere ) UNA TRACCIA

 
 

                                                              Il sole è solo un intarsio…


NON LEGGERTI AL PLURALE

Non leggerti al plurale,
leggiti all'inverso,
slacciati le mani,
togliti il cappello.
Un'invenzione dell'ombra
dò credito al sole.
Balla
sulla tua ignoranza,
serra la mano, il fiore, le astuzie.
Sarai altro
prima di voltarti.


                             ***


SEMPRE UNA TRACCIA

Sempre una traccia
dentro di me.
Il sole è solo un intarsio
- pensavo -
e con i miei abiti vestivo il mondo,
lo portavo a ballare.


                          ***


LA VITA MI SFUGGE

La vita mi sfugge,
non riesco a perforare
la parola.
L'ombra
appassisce i dadi,
appena lo scarto
di una nascita.
Ricordo
il segreto
dell'oro delle polveri,
ma tutto si perde:
la morte aggira il sarcofago.


                         ***


NELL' ORA

Resti per me corona.

Ho teso agguato di preghiera
per vederti
facendo un foro in ogni stella.

Nell'ora che mi vorrai
chiamare, asséntati.

Lascerò cadere la fiamma del dolore
per spegnerla
sulle mani vuote.

Poi, vestimi della tua bianca ombra
finchè la cometa spolveri la notte.


 
                           Eugenio  Vitali     da       La traccia



martedì 28 agosto 2018

PARLARSI ( Introduzione )



Nel corso della nostra vita siamo accompagnati da alcune esperienze fondamentali che ci consentono di conoscere cosa siamo noi e cosa sono gli altri. E fra queste esperienze, come non pensare alla tristezza, alla sofferenza, alla felicità, alla solitudine, alla tenerezza, al desiderio di comunione e di comunità di destino, alla speranza, alla malattia, alla morte - anche quella volontaria - e ai modi con cui entrare in comunione con ciascuna di queste esperienze?.
Ma cos'è questa parola ambivalente " comunicazione", che entra in gioco in ogni forma di discorso e di vita?
" Comunicare" vuol dire " rendere comune " ( dal latino munus = dono ): è dialogo, è relazione. Significa entrare in relazione con la nostra interiorità e con quella degli altri, nella convinzione che "comunicazione" sia sinonimo di cura. Noi entriamo in relazione - allora - in modo tanto più intenso e terapeutico quanta più passione è in noi e quante più emozioni siamo in grado di provare e di vivere.


                       frida

COMUNICAZIONE COME PROBLEMA

 
 

" Riuscirai sempre a trovarmi nelle tue parole: è là che vivrò " ( dal film  " Storia di una ladra di libri " ).



(…) Che cos'è questa comunicazione, questa parola che entra in
       gioco in ogni forma di discorso e in ogni forma di vita, e come
       tematizzarla nei suoi aspetti essenziali e nelle sue diverse
       articolazioni semantiche? Come entriamo in comunicazione e
       come entriamo in relazione con noi stessi e con gli altri, con la
       nostra interiorità e con quella altrui?
       Le relazioni umane sono talvolta faticose e talvolta dolorose.
      Come disse Rainer Maria Rilke :" Ché non si deve solo alla
      pigrizia se le relazioni umane si ripetono così indicibilmente
      monotone e senza novità da caso a caso, ma alla paura di un'
      esperienza nuova, imprevedibile e per cui non ci si crede
      maturi. Ma solo chi è disposto a tutto, chi non esclude nulla,
      neanche la cosa più enigmatica, vivrà la relazione con un altro
      come qualcosa di vivente e attingerà sino in fondo la sua
      propria esistenza ".
      Sono tesi che vorrei svolgere in questo mio lavoro, dicendo
      qualcosa sulla natura, sulla dimensione dilemmatica, sulla
      fenomenologia della comunicazione e della relazione che ci
      pone in un dialogo senza fine con la nostra interiorità, le
      nostre attese e le nostre speranze, e con quelle che sono negli
      altri.
      In psichiatria, non c'è cura se non quando siamo in
      comunicazione, in relazione: con la tristezza e l'angoscia, l'
      inquietudine e la disperazione, il dolore del corpo e quello dell'
      anima, di chi sta male e chiede il nostro aiuto. Ma non c'è
      comunicazione autentica se non quando abbiamo parole
      capaci di creare un ponte fra la soggettività di chi parla e
      quella di chi ascolta; la soggettività di chi cura e quella di chi
      è curato; e quando ci siano corrispondenze fra il tempo
      interiore dell'una e quello dell'altra .(…)


      Eugenio Borgna  da    Parlarsi ( La comunicazione perduta ) 
     

LE PAROLE HANNO UN LORO DESTINO



(…) Nella definizione che ne è stata data da Hugo von 
       Hofmannsthal, il grande scrittore austriaco dalla straordinaria
       sensibilità e dalle grandi intuizioni psicologiche,le parole sono
       creature viventi ma anche - con una definizione ancora più
       smagliante - sono prigioni sigillate dal mistero, e ogni volta
       dovremmo essere capaci di aprire queste prigioni, di togliere
      loro i sigilli,di farne sgorgare i significati e di scrutarne le cifre
      tematiche solo apparentemente oscure e inesplicabili. Le parole
      si modulano, cambiano, si modificano continuamente nelle
      situazioni in cui ci veniamo a trovare e negli incontri che
      facciamo nella vita. Le parole non sono mai inerti e mute, ma
      comunicano sempre qualcosa. Le parole sono impegnative per
      chi le dice e per chi le ascolta; cambiano di significato nella
      misura in cui cambiano i nostri stati d'animo e non è facile
      coglierne fino in fondo le risonanze. Le parole, una volta dette,
      non ci appartengono più e sono determinanti nell'aprire i
      cuori alla speranza o nel condurli alla disperazione. Le
      parole cambiano il loro significato nella misura in cui si
      accompagnano al linguaggio del corpo vivente, del sorriso e
      delle lacrime, degli sguardi e dei gesti, e anche al linguaggio
      del silenzio: sì, anche il silenzio parla e bisogna saperlo
      ascoltare ed esserne in dialogo senza fine .  (…)

  
              Eugenio Borgna  da   Parlarsi ( La comunicazione perduta ta )




LE PAROLE CHE FANNO DEL BENE



                                 Parole adatte alla mattina... messe in abito da sera...
                                       



(…)Le parole non sono di questo mondo,sono un mondo a se stante
      ma sono anche creature viventi, e di questo non sempre siamo
      consapevoli nelle nostre giornate divorate dalla fretta e dalla
      distrazione, dalla noncuranza e dall'indifferenza,che ci portano
      a considerare le parole solo come strumenti, come modi aridi e
      intercambiabili di comunicare i nostri pensieri. Ma le parole
      che ci salvano non sono facili da rintracciare e, come diceva
      Marina Cvetaeva, " faticoso e febbrile è il lavoro necessario a
      trovare parole che facciano del bene".
     Ma,come trovare,e come rivivere le parole che salvano e creano
     relazione? La salvezza non può venire se non dall'ascolto, dall'
     ascolto del dicibile e da quello dell'indicibile, che ci dovrebbe
     accompagnare in ogni momento della giornata e in ogni 
     situazione delle vita.
     La prodigiosa avanzata delle tecnologie consente di giungere
     alla conoscenza delle malattie - somatiche in particolare - alla
     diagnosi e alla indicazione delle cure con una rapidità
     inimmaginabile nel passato; ma questo avviene - o rischia di
     avvenire senza tener presente la persona malata, le sue
     risonanze psicologiche e umane al dolore e alla malattia che 
     sono così importanti nell'evoluzione clinica e nella cura.
     Ma come non ribadire ancora la significazione umana, e in
     fondo terapeutica,delle parole e dei gesti con cui ci incontriamo
     con chi sta male? Se le parole non nascono dal cuore, se non
     sono leggere e profonde, gentili e assorte, fragili e sincere,
     fanno del male, e fanno del male i gesti che non sanno
     testimoniare attenzione e partecipazione.
   ( Come sarebbe bello non dimenticare mai quello che ha scritto
     Etty  Hillesum nel suo bellissimo Diario :" Si dovrebbe parlare
     delle questioni più gravi e importanti di questa vita solo quando
     le parole ci vengono semplici e naturali come l'acqua che 
     sgorga da una sorgente" .  (…)


      Eugenio Borgna  da     Parlarsi ( La comunicazione perduta ) 



lunedì 27 agosto 2018

NEL SILENZIO LA CONOSCENZA

 
 

                   L'uomo in silenzio è più bello da ascoltare ( proverbio giapponese ).


(…)Sono cose bellissime quelle che Romano Guardini ha scritto sul
      silenzio: ne vorrei citare alcune che  ne fanno riemergere la
      dimensione interiore.
    " Solo nel silenzio si attua la conoscenza autentica. Conoscenza
      non è semplicemente notizia. Anche se questa è senza dubbio
      buona e indispensabile. Si sa per esempio che una persona è
      malata e soffre. Ci si preoccupa, si cercano rimedi, o si chiama
      il medico, e tutto è in ordine. Invece chi mira alla conoscenza si
      domanda: che cosa è mai questo, il dolore? Che cosa segue a
      causa del dolore in un'esistenza quando il dolore viene
      interiormente accettato, vissuto, oppure respinto? E, nel caso
      di quest'uomo che soffre, come incide il dolore nella sua vita?
      Sono domande che non trovano risposta finchè se ne parla. O
      forse una risposta estrinseca, non di certo una intrinseca che
      comprende e coglie l'essenza. A chi parla sfugge precisamente
      ciò di cui importa: l'intimo termine di confronto, lo sguardo
      sull'esistenza che ha davanti, l'intuizione che colga il modo
      come questa singola  e irripetibile esistenza si svolge. Per tutto
      ciò io devo concentrarmi,devo far silenzio, pormi interiormente
      dinanzi a ciò che intendo, penetrarlo identificandomi con il suo
      sentimento. Allora,nei buoni momenti,mi si fa chiaro: in quest'
      uomo sofferente  avviene così e così. Questo solo è conoscenza,
      alba di verità. Chi non sa tacere, non la sperimenta mai".
      Ancora una citazione, dello stesso autore, che ci avvicina
      sempre più al tema della comunicazione, del silenzio che dilata
      gli orizzonti della comunicazione e della conoscenza della
      vita interiore.
    " E ciò che vale della conoscenza vale anche del rapporto
      umano.Esso consiste in buona parte nel dare agli altri qualcosa
      di se stessi: una simpatia, un aiuto, una compagnia, fino alle
      forme di comunione completa. Ma può uno dar via qualcosa di
      se stesso, se non possiede affatto se stesso? Chi non fa che
      parlare, non si possiede realmente giacchè scivola via di
      continuo da se stesso, e ciò che egli dona agli altri non sono
      che vacue parole".
      Certo, bisogna difendersi dall'ininterrotto fiume di chiacchiere
      che sommergono il mondo; ma il chiasso esteriore non è se non
      una metà delle logomachie delle quali siamo prigionieri.
      L'altra metà è il chiasso interiore: " Il caos dei pensieri, il
      groviglio dei desideri, le inquietudini e le angosce dello spirito,
      il peso delle depressioni, il muro delle ottusità e tutte le altre
      cose che si ammucchiano nel nostro mondo intimo come detriti
      sopra una sorgente occlusa". Ma infine : " Quante cose
      superflue noi diciamo in un giorno, quante cose sciocche!
      Dobbiamo imparare a capire che il silenzio è bello, che non è
      un vuoto, ma vita genuina e colma. Di più ancora, bisogna
      imparare il silenzio interiore, i calmi indugi sulle domande
      importanti, sui compiti gravi della vita,sui problemi riguardanti
      una persona che ci sta a cuore. Allora faremo una singolare
      esperienza: che il nostro mondo interiore è vasto e che in esso
      si può andare sempre più a fondo ".  (…)


           Eugenio Borgna   da   Parlarsi ( La comunicazione perduta )


BORIS PASTERNAK ( Lettera - Introduzione )



Un tesoro conservato per anni nell'archivio di casa e poi consegnato alla posterità dal figlio Evgenij: sono le lettere di Boris Pasternak alla prima moglie Evgenija  Lur'e, la giovane pittrice conosciuta nel 1921, poco prima che i genitori del poeta lasciassero la Russia. La dolcezza dei sentimenti si intreccia alla durezza della politica, formando un amalgama unico in queste pagine che parlano di amore e povertà, vita e poesia. Le tensioni dell'ambiente politico- letterario degli anni Venti, che culmineranno col suicidio di Majakovskij, le limitazioni della libertà artistica e il terrore incombente, mettono a dura prova il matrimonio, fino a spezzarlo nell'estate del 1930. Mai più Pasternak scriverà epistole come queste che, per intensità di sentimenti e spessore umano sono paragonabili forse solo al carteggio tra Cvetaeva e Rilke, il cui scorrere parallelo si avverte sullo sfondo.


                       frida

BORIS A EVGENIJA ( Lettera ) 1

 
 

                    " Siamo tutti prigionieri del tempo, ostaggi dell'eternità" ( B. Pasternak )


Agosto, Dicembre 1931

(…)  Amica mia cara,
       perdona la mia ultima, breve lettera. Perdona la mia colpa,
       perdona l'amarezza che ogni giorno ti porta il pensiero di me,
       perdona il mio delitto.
      Perdona, trova cioè la forza di riconoscerli in quanto fatti, per
      vivere e liberarti a poco a poco del loro potere. Trova questa
      forza, così come la trovavo io per placare e smussare i nostri
      antichi screzi, così come la trovo oggi per vivere, perché non
      ho mai vissuto in un modo così strano come in questi ultimi
      tempi: tutto quanto mi cade dal cielo, facilitando ogni mio
      movimento. Dovrei benedire la vita come mai prima, eppure
      non sto facendo nulla e non sono capace di intraprendere
      niente perché - inutile dire - non potrò mai vincere la tristezza
      che in me suscitano le tue insormontabili sofferenze.
      Per amor di Dio, non lo prendere come un rimprovero: tutto
      quanto mi succede, si compie contro la mia volontà - da sé -
      non però a causa tua. Sto in pena, perché in pena stai tu, e tu
      sei parte della mia vita.
      Oggi, quando mi sono alzato,mi aspettava la tua grande lettera.
      L' ho letta prima di accendere la stufa, mezzo vestito. Fa un
      freddo da lupi adesso e noi siamo senza legna. I buoni a nostra
      disposizione sono ancora più difficili da realizzare che non l'
      inverno scorso. Teniamo acceso con scaglie di legname prese
      nei cantieri, ma in casa si gela. E' passata Irina: si sono già
      trasferiti, non vivono più qui. Le ho dato da leggere la tua
      lettera e mi sono messo ad accendere la stufa. Quando ho
      finito, l'ho trovata in lacrime.Come me,è stata colpita da quello
      che nella tua lettera è così grande e forte: l'altezza della tua
      ragione morale, la tua verità. Stavamo leggendo e  parlando in
      silenzio totale. Zina dormiva.Stamani si era alzata molto presto
      e aveva portato i suoi bambini per la prima volta all'asilo e
      dopo - rientrata - si è rimessa a letto per recuperare il sonno
      perduto. 
      Non piangere e non affliggerti, Zenjura mia. Parliamo con
      calma. In primo luogo il carattere enigmatico di quanto è
      successo non deve spaventarti. Come ipotesi ne avevamo
      discusso più di una volta e a parole ci stavamo abituando da
      tempo a quello che è accaduto in realtà. Non devi considerarlo
      come una punizione. E soprattutto - te l'ho già scritto - non ti
      separare da me nel tuo tormento: siamo stati colpiti tutti e due.
     (…)


Boris Pasternak  da  Il soffio della vita ( Corrispondenza  con Evugenija 1921- 1931 )

BORIS A EVGENIJA ( Lettera ) 2


(…)Ricordi quella sera d'inverno quando la possibilità di
      continuare a vivere insieme divenne così tristemente palese, che
      la chiara visione di una fine forzata, già vissuta nell'
      immaginazione e l'idea che avrei fatto in tempo a dire addio a
      te, vicina e amata, ma non a Zina, follemente amata di quell'
      amore non domestico, mortalmente subitaneo che può essere
      messo alla prova proprio nell'attimo dell'addio alla vita e all'
      universo intero; tutto questo - dunque - bastò perché io
      scoppiassi a piangere e tutto venisse fuori. Io non mi sono
      inventato il mio sentimento per Zina. è nato tutto da solo. Non è
      per vendetta che me ne sono andato nè per dimostrare prima
      qualcosa e poi tornare. Me ne sono andato in seguito a
      discussioni e considerazioni che abbiamo portato avanti per
      anni, in conseguenza di esse e di altre- nuove- più fresche
      sollecitazioni portate dalla vita. Me ne sono andato
      spontaneamente e senza che  nessuno me lo chiedesse; me
      ne sono andato via perché -per vivere -era diventato necessario
      agire. Scrivo queste cose perché tu non pensi di essere stata
      ingannata. Né tanto meno puoi pensare d'avere tu ingannato
      qualcuno; d'aver presentato quanto è successo in una luce
      falsa; di avere - parlando di me - mal rappresentato i miei
      sentimenti. Non puoi pensare che siano più piccoli e peggiori
      di quanto tu non abbia detto.
      Amica cara, citi con grande dolore - come per giustificarti - le
      parole da me pronunciate in primavera, alla tua partenza, a
      mo' di addio. Ma se ti astrai dalla loro precisione banale, dal
      loro significato particolare - continuamente modificato dalla
      vita che va avanti-cui bisogna sempre adattare la loro sostanza
      per vederla non solo nell'anima, ma anche nella sua
      realizzazione, allora nella cosa più importante non ti ho
      ingannata, e per nostra disgrazia comune - ahimè - non ho
      ingannato me stesso: a dispetto di tutto quanto dirò in seguito,
      non posso e non voglio disporre di te in modo duro e arbitrario,
      come di una moglie divorziata : non posso metterti in disparte
      e in un certo senso destituirti; non posso immaginarti relegata
      in qualche posto soltanto per volontà mia, e non anche tua,
      checché ne dica la ragione ( e adesso anche un nuovo dovere ).
      E preferisco piuttosto rompere la mia che piegare la tua - di
      volontà -, tanto vivi sono i tuoi diritti su di me, tanto riconosco
      il loro potere naturale su di me, e nel mio cuore, il loro posto
      legittimo. (…)


Boris  Pasternak  da  Il posto della vita ( Corrispondenza con Evgenija 1921- 1931 )