sabato 28 luglio 2018

E INVECE NO ( Lettera a Francesca )

 
 

                                                       " Come non amarti - Francesca -"


Per non morire - Francesca -
avresti potuto concederti l'attenuante generica
del livore di un dio perverso
che godeva nell'infliggerti il suo stesso martirio
o scagliarti contro tua madre che ti aveva partorito
bestemmiandone il sorriso.

E invece no.

Francesca non chiedeva sconti di pena
al venditore di lucciole.
Lei scagionava tutti, stringendo fra le sue braccia
- come figlie malate - le loro colpe,
cullandole mentre come demoni
le divoravano il seno e il senno.
Francesca si accartocciava nelle viscere
sgranano rosari infiniti di meaculpa
e andava alla guerra a piedi scalzi
senza uccidere nessuno se non se stessa.
Quando di lei restava solo il sangue tumefatto,
la polvere d'ossa e la follìa liquida negli occhi,
allora Francesca si chiamava fuori offrendo al cielo
un seno imbottito di nuvole sfinite.
A volte si nascondeva come un ragno
nel cuore della terra
e nel buio tesseva sulla pelle una rete
oscura che le imprigionava le membra.

Per non morire - Francesca -
avresti potuto pareggiare il conto e barare
anche tu alle carte, consumando  sotto una pioggia
di fiori finti una vendetta dal sapore dolceamaro
come un farmaco salvavita.

E invece no.

Francesca si rifugiava tra le fronde
di un acero
e con le dita piagate intrecciava fango
e miele di parole, sputi e saliva di baci
per farne di nuovo una coppa aperta alle intemperie
e ai sogni spezzati dagli assassini.
E in quel nido di agonia si faceva rondine nuda,
si colmava la gola delle sue stesse piume e serrava
le labbra con l'avorio dei denti,
soffocando e zittendo
le voci di dentro come lupi affamati d'anima.
E quando il suo dolore - ormai arreso - s'accucciava
ai piedi di un gelsomino umido,
allora Francesca tornava a respirare ancora
amore nell'aria.

Per non morire - Francesca -
avresti potuto stringere tra le mani
un'affilata scure o mostrare la ferita aperta
come una rosa tatuata sulla schiena
per poi liberare l'orgoglio dei fianchi.

Per salvarti , lui avrebbe potuto dirti
" Come non amarti Francesca ".

E invece no.


                    frida

DE ARTES Y OFICIOS

 
 

                                                 Più dolce del vino e più vigoroso della morte…


PIU' POTENTE DELLA MORTE

Come albero di nuvole e manto di uccelli nell'aria
arriva l'amore che tutto scombina
con la sua musica breve.
Più dolce del vino e più vigoroso della morte
chiama con voce di seta tessuta da una freccia velenosa.

E' volo di colibrì sospeso nell'aria
e arriva così come se ne va:
sfidando il silenzio.


                      ***


QUATTRO STAGIONI

Quando arriva l'amore con le sue quattro stagioni
gli uccelli cantano come un albero carico di mele.
Il cielo si colora di parole rosse
e il silenzio disegna bianche farfalle.

In un istante Amore tutto confonde:
le note nel pentagramma
il volo degli angeli
il petto aperto nei suoi punti vulnerabili
il silenzio dei tuoi occhi.

Chiama alla mia porta
e come Venere in cerca di Adone
mi avvicino al tuo corpo come all'orizzonte
entro nel paradiso
e svanisco
in un assolo di musica.


                        ***


UCCELLO DELLA PIOGGIA

T'inseguo e mi insegui
come uccelli che volano per il mondo
disegnando con pazienza la linea sottile
tra il tuo corpo e la mia anima.

Accendiamo la luce
- lampo in mezzo alla notte -
e gli dei sorridono
come se vedessero l'alba.
Cadiamo nella rete inventando parole
e ascoltiamo cantare l'uccello della pioggia
sulla neve mansueta.

Sopra noi due canta l'acqua gocciolando
cadenzata
tra il tuo corpo e la mia anima.


       Luz Mary Giraldo    da          De artes y oficios

IL MINUSCOLO AMARO DEL MONDO


                                                     Un giorno diventerà logora da scomparire…



Il dolore entra nel mondo
entra all'improvviso
s'installa nel muscolo
e tutta la vita gira
intorno a quel punto
minuscolo.




Non appena si ammalò
sono venuti a pulirle la casa
aprire gli armadi
cercare quel fagotto mezzo
nascosto in un libro
senza copertina
dove possedeva
la fatica di tutta la vita.




Mai tornare mai mostrare che sono una fallita
mai dare a vedere che il poco raccattato
fu il tanto di una vita
che il poco accumulato
fu il tutto di una vita.




La strada è un universo
riduce il mondo
a nostra misura
riduce le miserie
a ciascuno il suo vicolo
a ogni ubriaco il suo fiasco
a ogni cane il suo calcio
a ogni angolo un padrone.




Lavava i vestiti
e i vestiti portavano via
i filamenti del suo corpo
un giorno diventerà così
logora da scomparire
attraverso il buco dello scarico.




I frutti maturano e si sfanno nel caldo
sono come noi, quando qualcuno viene e ci mangia e quando non lo fanno
si mettono in testa che rovineremo tutta la fruttiera.



             Vera Lucia de Oliveira    da    Il muscolo amaro del mondo



giovedì 26 luglio 2018

AMORE E VIOLENZA ( Introduzione )



Nel comune sentire, amore e violenza tendono idealmente a polarizzarsi: ma che cosa avrebbero da spartire lo slancio ardente verso l'oggetto del proprio desiderio e la brutale lacerazione dell'altro; la tenerezza e l'odio rabbioso; la passione vivificante e il gesto mortifero? In realtà il sentimento amoroso e l'atto violento si compenetrano da sempre, a partire dallo strappo che separa il maschio dal corpo di donna che lo ha generato. E sono intrecciati al punto da serrarsi in un nodo inestricabile che costituisce - sia per gli individui che per i gruppi umani - " Il fattore molesto della civiltà ".-
Con l'acutezza di sguardo di chi sa mettere a nudo le ambivalenze e le contraddizioni del rapporto di potere tra i sessi, l'autrice esplora la violenza reale e simbolica annidata all'interno delle relazioni più intime, come la sessualità e la maternità: è su quel corpo con cui è stato tutt'uno e con cui torna a fondersi nell'amplesso, che l'uomo si accanisce. E questa fuga estrema dal femminile si perpetua - atavica - in ogni mano maschile levata - ancora oggi - sulle donne. Di ogni età, razza e cultura. 

  
                               frida

AMORE E VIOLENZA 1

 
 
 
" Chi è nell'errore, compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza " ( W. Goethe )


(…) Il dominio dell'uomo sulla donna si distingue da tutti gli altri
       rapporti storici di potere per le sue implicazioni profonde e
      contraddittorie. Innanzitutto, la confusione fra amore e
      violenza: siamo di fronte a un dominio che nasce e si impone
      all'interno di relazioni intime, come la sessualità e la maternità.
      Ci sono parentele insospettabili che molti non riconoscono o
      che preferiscono ignorare. La più antica e la più duratura è
      quella che lega l'amore all'odio, la tenerezza alla rabbia, la
      vita alla morte.Si distrugge per conservare,si uccide per troppo
      amore, si idealizza per l'appartenenza a un gruppo, una
      nazione, una cultura, per differenziarsi da chi ne è fuori, visto
      come nemico. In uno dei suoi saggi più famosi - Il disagio
      della civiltà - Freud, dopo aver descritto Eros e Thanatos,
      amore e morte, come due pulsioni originarie, è costretto a
      riconoscere che sono meno polarizzate di quanto sembri.E dove
      l'intreccio diventa più sorprendente, è proprio nel rapporto con
      l'oggetto d'amore:

    " L'uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d'amore,
       capace - al massimo - di difendersi se viene attaccata, ma
       occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona
       dose di aggressività. Ne consegue che egli vede nel prossimo
       non soltanto un eventuale aiuto e oggetto sessuale, ma anche
       un invito a sfogare su di lui la propria aggressività, a
       sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo,ad abusarne
       sessualmente senza il suo consenso, a sostituirsi a lui nel
       possesso dei suoi beni, a umiliarlo,a farlo soffrire, a torturarlo
       e ad ucciderlo ".

     
Lea Melandri  da  Amore e violenza ( Il fattore molesto della civiltà )

AMORE E VIOLENZA 2


(…) Anziché limitarsi a deprecare la violenza, invocando pene più
       severe per gli aggressori e più tutela per le vittime, forse
      sarebbe più sensato gettare uno sguardo là dove non vorremmo
      vederla comparire,in quelle zone della vita personale che
      hanno a che fare con gli affetti più intimi, con tutto ciò che ci è
      più familiare, ma non per questo più conosciuto.Gli omicidi, gli
      stupri,i maltrattamenti fisici e psicologici che hanno come
      oggetto le donne, sono oggi ampiamente documentati da
      allarmanti rapporti internazionali, riferiti dalle cronache dei
      quotidiani,gridati in prima pagina quando sono particolarment
      crudeli o spettacolari.A uccidere, violentare, sottomettere, sono
      prevalentemente mariti, figli,padri, amanti incapaci di tollerare
      pareti domestiche troppo o troppo poco protettive, abbracci
      assillanti o abbandoni che lasciano scoperte fragilità maschili
      insospettate. Nessuno sembra trovare inquietante che il corpo
      su cui l'uomo si accanisce sia quello che gli ha dato la vita, le
      prime cure, le prime sollecitazioni sessuali,un corpo che l'uomo
      ritrova nella vita amorosa adulta e con cui sogna di rivivere
      l'originaria appartenenza intima ad un altro essere.Ma è anche
      il corpo che lo ha tenuto in sua balia nel momento della sua
      maggiore dipendenza e inermità, che poteva dargli la vita o la
      morte, accudimento o abbandono. Confinando la donna nel
      ruolo di madre,facendola custode della casa,dell'infanzia, della
      sessualità, l'uomo ha costretto anche se stesso a restare eterno
      bambino,a portare una maschera di virilità sempre minacciata.
      La fuga dal femminile, da cui si può pensare abbia tratto la
      sua spinta più profonda la comunità storica degli uomini, è
      anche la fuga dai bisogni infantili,che restano così fermi in una
      immobilità senza tempo. (…)


Lea Melandri  da  Amore e violenza ( Il fattore molesto della civiltà )

AMORE E VIOLENZA 3



(…) La famiglia prolunga l'infanzia ben oltre il bisogno del singolo
       individuo, costruisce legami di indispensabilità reciproca e
       arma silenziosamente la mano che tenterà di strapparli. Il 
       luogo che tutti vorremmo al riparo da una società sempre più
       conflittuale, conserva il più lungo e il più enigmatico dei
       domini che la storia ha conosciuto: la guerra mai dichiarata
       che porta l'uomo - mosso da desideri e paure antiche - a
       celebrare i suoi trionfi sul corpo femminile con cui è stato
       tutt'uno e con cui torna a confondersi nell'abbraccio amoroso.
       Se l'uomo fosse solo il dominatore, il vincitore sicuro di sé,
       non avrebbe bisogno di umiliare e uccidere. Confinando la
       donna nel ruolo di madre, è come se le avesse permesso di
       protrarre ben oltre l'infanzia quel potere materiale e
       psicologico che ha esercitato su di lui bambino. Il potere che
       viene dal rendersi indispensabile all'altro è tuttora - per la
       donna - il più forte contrappeso alla sua mancata realizzazione
       come individuo, cittadina a tutti gli effetti.
       L'altra contraddizione, strettamente legata alla prima, è il fatto
       che a prendere il sopravvento, a porsi come padrone, è il sesso
       che si trova all'origine - e per certi aspetti essenziali alla sua
       sopravvivenza anche nella vita adulta - nella posizione di
       maggior debolezza. Prima che marito, padre possessivo,
       autoritario e violento, l'uomo è nato di donna, tenero figlio. La
       tentazione di attribuire alla società il passaggio del maschio
       dall'amore alla violenza - e cioè l'addestramento all'esercizio
       del potere da parte di una comunità di simili - è sicuramente
       più rassicurante che pensare ad una ambivalenza di sentimenti
       già presente nelle relazioni più intime.
       Nel saggio Le tre ghinee di Virginia Woolf, si legge:

      "Non possiamo non pensare che le società sono congiure che
       soffocano il fratello privato che molte di noi hanno motivo di
       rispettare,e generano al suo posto un maschio mostruoso,dalla
       voce prepotente, dal pugno duro, puerilmente intento a
       tracciare cerchi di gesso sulla superficie della terra entro i
       quali vengono ammassati gli esseri umani, separatamente,
       artificialmente; dove dipinto di rosso e di oro, adorno come un
       selvaggio di piume, nostro fratello consuma mistici riti e
       assapora il dubbio piacere del potere e del dominio, mentre
       noi, le " sue" donne, siamo chiuse a chiave tra le pareti
       domestiche, senza spazio alcuno nelle molte società di cui la
       società si compone ".
      
     
       Ma anche la Woolf poi conclude che il mondo pubblico e il
       mondo privato sono inseparabilmente collegati e che le
       tirannie e i servilismi dell'uno sono le tirannie e i servilismi
       dell'altro . (…)


Lea Melandri   da   Amore e violenza ( Il fattore molesto della civiltà )

martedì 24 luglio 2018

DON DE LENGUAS

 
 

                                         Il letto è disfatto dalla parte sinistra dei miei sogni…



LA TRACCIA

Qualcuno cancella le impronte
dei tuoi passi leggeri nella notte,
ma al mio risveglio mi accorgo
che sei tornata nel vuoto che hai lasciato
- come un cane torna alla sua tana,
come l'assassino sul luogo del delitto -
perché il letto è disfatto
dalla parte sinistra dei miei sogni.




CRIMINE IMPERFETTO

Di tutti i crimini che ho commesso,
solo di uno mi pento:
non aver sopraffatto del tutto il desiderio,
questo avvoltoio abbietto e insaziabile
che mi fa credere
di essere ancora vivo.




NON HAI LETTO LE FIABE

E così te ne vai.
Ormai è tardi per i lamenti:
s'è fatto tardi
e presto sarà buio.
Vedi questa bocca, amore?
E' fatta a misura dei tuoi sogni.
Non c'è più tempo ormai: chiudi gli occhi.
Non hai letto le fiabe
e ora io - così racconta la storia -
dovrò mangiarti.




TRE DESIDERI

Che tu non ascolti altra voce
che la mia - dicesti
soffiando sul primo fiammifero -.

Che tu non dica nulla che mi ferisca,
fu il tuo secondo desiderio - e l'oscurità
ci avvolgeva un po' alla volta-.

Che mai finisca questo sogno,
- sussurrasti per l'ultima volta -.
E tutto scomparve.

E noi ci incontrammo all'improvviso
in mezzo alla notte.
Sordi, muti e ciechi.


     
              Alfonso  Brezmes     da     Don de lenguas


DAMMI - O MORTE - LIBERTA'

 
 

                                                           Faccio fagotto di chi mi sta a fianco…



Cerco allo specchio un riflesso
le tracce sul viso di un passato percorso.
Indago la mente cercando le stanze,
le porte socchiuse in cui entrare
ancora una volta per un ultimo saluto.
Le porte chiuse - al contrario - restano tali, per scelta.
Scelgo di andare oltre.


                               ***


Prendere o lasciare, tutto o niente.
Solcare la traccia di quella che ero,
della mia vita, degli altri, delle cose passate, di ieri e di oggi.
Tutto dentro mille e una vita.
Faccio fagotto di chi mi sta a fianco
- o ci si ferma - anche solo per un po'.


                             ***


Ogni tanto mi giro a guardare le tracce, le orme passate,
le cose lasciate cadere che all'anima sembrano leggere.
Il vento della sera trascina la sabbia e le regala nuove forme
che non sembrano più solchi trascinati a fatica.
Ho comprato una borsa nuova, bianca e blu,
senza fronzoli. Bella.
La porto elegantemente a spalla
e non pesa, per ora.
Vi ho riposto quello che ho scelto tra
indizi, tracce, prove raccolte di ciò che ero,
che lascio ancora in me, per me.
Ogni tanto mi fermo
e ne tiro fuori quello che del mio mare porto dietro,
per rimirarlo ancora, ma solo per un po'.


Miriam Romano  da  Indizi del mare che mi porto dietro ( Inediti )



lunedì 23 luglio 2018

RABBIA, AGGRESSIVITA' E DEBOLEZZA

 
 


             " Gli uomini sono benevoli verso coloro che
            si umiliano di fronte a loro e che non li
            contraddicono, perché sembrano ammettere
            la propria inferiorità.
           Il fatto che l'ira si calmi nei confronti di chi
           si umilia, lo dimostrano anche i cani, che non
           mordono chi si mette a sedere."


                             Aristotele   da      Retorica

SCENE DA UN MATRIMONIO 1

 
 

 
 " Sposarsi o non sposarsi, non è importante. In ogni caso ti pentirai ". ( Socrate )



(…) Shlomo sostiene che innamorarci sia stata una disgrazia. La
       prima volta che l'ha detto mi ha ferita, poi ho capito che aveva
       ragione: insieme siamo infelici. Credo di soffrire più di lui per
       quest'amore disgraziato, ma chi lo sa cosa provano veramente
       gli altri, cosa prova persino tuo marito.
       Shlomo non parla delle sue sofferenze: pensa che farlo sia
       indecente, o ha imparato a fingere che non esistano. E' il suo
       modo di difendersi da loro e da me.
       Forse Shlomo non soffre, tranne che per me, anche se lo
       ammette solo quando gli dico che mi fa soffrire. Allora mi
       guarda stizzito, un lampo scurisce i suoi occhi gialli e sibila:
      " E io credi che non stia male? " Non spiega perché. Shlomo
       non si lamenta. Shlomo non chiede.
       Insieme stiamo male, ma non possiamo lasciarci.
       Dice che non mi lascerà mai, non so se per senso di
       responsabilità, pigrizia, o perché mi ama più di quanto sia
       disposto a riconoscere.
       Io non lo lascerò perché sono innamorata di lui, della sua
       grazia nascosta come un minerale, del suo odore,del suo modo
       di parlare coi bambini.
       Non lo sopporto ma lo amo. Shlomo è la mia croce.
       Deve essermi toccata per punirmi di qualcosa che ho fatto in
       una vita precedente,  da ragazza, quando spezzavo cuori senza
       neanche accorgermene. Sono stata una figlia amata, anche se
       amata male, mentre non ho mai visto la madre di Sholom
       abbracciarlo: le rare volte che si incontravano, porgeva la
       guancia per farsela sfiorare con un bacio. Shlom sostiene che
       aver avuto una madre anaffettiva sia stato un vantaggio.
       Disprezza i sentimentalismi, i sentimenti lo annoiano. A volte
       penso che sia stato vaccinato dalla sua infanzia -  della quale
       non mi ha mai parlato - di bambino grasso. A tredici anni ha
       scoperto la palestrae si è trasformato nell'uomo massiccio di
       oggi, ma è stato un bambino grasso, con una madre rigida e
       un padre assente, ed è cresciuto in una comunità ristretta e
       contadina: chissà se ha patito, se lo hanno preso in giro, se ha
       dovuto combattere e imparare a difendersi. Quello che impari
       da bambino non lo perdi più.
       Nelle poche foto d'infanzia che mi ha mostrato, era sempre
       accigliato. O forse - più che accigliato - il suo sguardo era
       concentrato, pronto, serio, come quello di oggi. Lo sguardo
       vigile di chi sta attento a non lasciarsi sottomettere.
       Shlomo non parla dei problemi di Israele, delle guerre, degli
       attentati, del genocidio che ha coinvolto i suoi nonni. A volte
       penso che si senta in colpa per essere andato via. Altre che mi
       abbia sposato per lasciarsi tutto alle spalle. (…)


             Daria  Bignardi  da   Storia della mia ansia

SCENE DA UN MATRIMONIO 2

 
 
 
(…) Shlomo non sopporta la mia ansia. La scambia per mancanza
       di fiducia in me stessa e per lui. Pensa che sia una debolezza.
       Lo so come funziona: anch'io odiavo l'ansia di mia madre, ma
       capivo che era una malattia. Odiavo la sua ansia, non lei.
       Shlomo non capisce le malattie perché non si è mai ammalato.
       A sentir lui, gli è capitata solo la disgrazia di innamorarsi di
       me, nella vita. Per questo a volte temo che al primo accidente
       rischi di spezzarsi  in due, come un albero colpito dal fulmine.
       Ma Shlomo sa proteggersi. Io non ne avevo mai sentito il
       bisogno, prima. Ho vissuto godendo di tutte le emozioni fino
       in fondo: mi piace sentirmi esaltata e persino sconvolta, dalla
       vita. Shlomo invece è lineare, distaccato. Lo è sempre stato,
       ma un tempo sapevo che mi amava. Ora non più.
       L'ultima volta che gliel'ho chiesto, ha risposto: " Non lo so e
       non lo voglio sapere".Me lo ha scritto in un messaggio:quando
       l'ho letto, ho sentito un dolore acuto al petto,come se mi avesse
       sferrato una coltellata.
       La freddezza di Shlomo mi fa male in un punto preciso del
       corpo.
       La prima volta che abbiamo fatto l'amore, nella sua stanza
       bianca di Neve Tzedek, per me è stato bellissimo, non so se lo
       sia stato anche per lui. Shlomo non parla di queste cose.
       Shlomo non parla di sentimenti, sesso, salute.
       I primi anni che stavamo insieme, la sera - ogni tanto -
       mettevo un disco e ballavamo abbracciati. Quando facevamo
       l'amore mi diceva che mi amava. Ma abbiamo sempre litigato,
       anche allora: parole dure come pugni in testa.
       I silenzi con cui mi puniva per settimane - dopo ogni lite -
       erano ancora più crudeli: una morsa attorno al cuore, un'
       asfissia, una tortura. Ora litighiamo meno, ma i suoi silenzi
       durano mesi. E io ogni giorno devo inventarmi qualcosa per
       sfuggire al dolore della sua distanza: un viaggio, un lavoro,
       una nuova amicizia. Dieci gocce di Xanax. Un gin tonic.
       Eppure, non posso lasciarlo. (…)


             Daria  Bignardi   da    Storia della mia ansia

INDIZI - UN'IPOTESI APPENA

 
 

                                                   Ch'io possa riunire i miei nomi. Sostare…



LO SPARO

Dispersa
        ti cerco.
Sono uno scuro
stormo
che s'alza
dal campo.
      Sii vero.
Allarga le chiome
ch'io possa
riunire i miei nomi
           sostare.
Ma è basso
il raccolto
e il tuo spazio una sfida.
           Con l'ombra
dilati
quel pezzo di terra
che invita
         al furto.
E' colpa o destino
tornare insaziata
tra l'erba sottile
scacciata
in eterno
da uno spettro
         un fucile?


                         ***

WAR  HORSE

Terra brulla
una volta campo
         di solchi e sementi
vuoto di mezzo
che fosti tempo
di attesa leggera

adesso ti apri
alla tregua
di un gesto.

Tra le nostre opposte
trincee
impigliato
nel filo spinato
un cavallo
senza padroni.
La schiena madida
il ricordo
come indomito istinto.
Le narici fiutano
chi sembra
scordare i confini.

Dalle tue ombre
spingine una
         al centro
         del fuoco sospeso
io manderò la mia

a liberare
quel fascio di muscoli
il grido la ferita
che chiede
       alle mani di entrambi
di riconoscersi
uguali

e cerca tra loro
una fuga infinita.


                       ***


LA VITA PARLA

Amami adesso
che ho frutti incerti
in grembo, nella voce
il tempo
e tegole sconnesse
tra questo letto e il cielo.

Ogni notte
ti asciugo la fronte
e raccolgo di te
quello che si era sparso.
Ma tu non volermi
diversa.

Stringi forte
il mio corpo di ore
lucente e cupo
recinto
sotto l'edera e il mirto.

(Su me
spunta fedele
anche colei che credi
mi sia ostile ).


               Raffaela  Fazio   da      Indizi - Un'ipotesi appena

domenica 22 luglio 2018

RITRATTI DEL DESIDERIO 1

 
 

" La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha " ( O. Wilde )



(…) In una sua celebre conferenza milanese gli inizi degli anni
       Settanta, di fronte a un pubblico spaesato, Jacques Lacan
       affermava che il discorso del capitalismo era fatalmente
       destinato a scoppiare. C'era- sosteneva con  una specie di      
       chiaroveggenza lui che era politicamente un liberale
       conservatore - qualcosa di " folle e di infernale", di
      " insostenibile"in quel discorso.Non stava ovviamente parlando
       da economista; non interveniva sul tema marxista del crollo
       del capitalismo e non stava nemmeno offrendo un'analisi
       sociale del fenomeno del capitalismo e delle sue differenti
       versioni storiche. Lacan era piuttosto interessato a cogliere
       la dimensione pulsionale di quell'economia che individuava
       nell'affermazione di un godimento cinico, individualista,
       centrato sulla fede feticistica nei confronti dell'oggetto e,
       soprattutto sulle sue false promesse di redenzione.
       Il discorso del capitalismo ha tradotto la parola del desiderio
       nel culto frivolo dell' homo felix - decisamente lontano dalle
       vecchie nostalgie metafisiche -, impegnato nella ricerca della
       propria felicità individuale su questa terra e al servizio del
       culto dell' Io autonomo che pretende di diventare il padrone
       assoluto di se stesso. Il discorso del capitalista ha voluto
       fondare il suo trionfo sul narcisismo cinico, sulla
       "gadgetizzazione" perpetua della vita, che ha come sfondo
       sociale il naufragio dei grandi ideali collettivi della
       modernità occidentale ( comunismo, socialismo, cristianesimo)
       (…)


              Massimo  Recalcati    da     Ritratti del desiderio

RITRATTI DEL DESIDERIO 2



(…) Oggi in molti ci chiediamo se questo potrà durare ancora a
       lungo; se questo iperattivismo forsennato che anima questo
       discorso non abbia segnato il passo; se la lezione di questa
       grande crisi dell'economia capitalista - che non è solo
       finanziaria , ma innanzitutto etica - non ci avverta sull'
       insostenibilità del discorso che la sostiene. Oggi in molti ci
       chiediamo dove porterà quella corsa senza principio né Legge
      - se non quella del godimento avido - della seggiola
       hitchcockiana ( una sedia a rotelle fatta viaggiare a una
       velocità ingovernabile...Lacan ha proposto un'immagine alla
       Hitchcock per raffigurare un'economia che già negli anni '70
       considerava destinata fatalmente a scoppiare . n,d.r.) descritta
       da Lacan .Non siamo forse nel mezzo di un passaggio storico
       epocale che sancirà l'esplosione fallimentare di questa folle
       macchina di godimento?
       L'osservatorio della psicoanalisi ci può offrire un quadro
       preciso dl nostro disagio. Nella precarizzazione della vita, la
       fede nell'oggetto- feticcio, dell'oggetto- marca, dell'oggetto -
       idolo,dell'oggetto che promette la guarigione dal dolore di
       esistere, vacilla drammaticamente sotto i colpi sordi di un
       immiserimento e di una spogliazione mentale e sociale dell'
       esistenza. Quello che non possiamo non vedere è che, anziché
       liberare il desiderio dai suoi vincoli materiali , morali e dalle
       sue inibizioni sociali -insomma dalla sua nevrosi - il discorso
       del capitalista lo ha piuttosto ucciso, lo ha spianato sotto il
       rullo di una rincorsa disperata verso un godimento tanto
       necessario quanto privo di soddisfazione. E' il paradosso dell'
       iperedonismo del nostro tempo: la pulsione appare dotata di
       una potenzialità infinita, si afferma come finalmente libera,
       svincolata dai limiti della Legge, ma questa libertà non è in
       grado di generare alcuna soddisfazione. E' una libertà vuota,
       triste, infelice, apaticamente frivola . (…)


            Massimo Recalcati   da   Ritratti del desiderio

RITRATTI DEL DESIDERIO 3


(…)Lo vediamo nella nostra pratica clinica,lo vediamo nella nostra
      comune esperienza del mondo. Nella promessa di liberare il
      desiderio dai lacci di una morale civile repressiva e antiquata,
      il discorso del capitalista finisce per sancire la sua
      mortificazione, perché il desiderio - per essere fecondo - per
      essere generativo, per alimentare altro desiderio, per animare
      l'orizzonte positivo dell' Altrove, necessita di una Legge. Per
      questa ragione il desiderio non andrebbe mai confuso con
      l'arbitrio, il capriccio, la volubilità, con l'assenza di Legge.
      Se questo avviene - come accade nell'universo iperedonista
      della nostra civiltà - finisce fatalmente per sostenere una
      versione radicalmente perversa del desiderio, smarrendone la
      dimensione propriamente creativa. (…)


            Massimo  Recalcati   da   Ritratti del desiderio

RITRATTI DEL DESIDERIO 4



(…) La parola " desiderio" non definisce un godimento illimitato,
       senza Legge, erratico, privo di responsabilità, ferocemente
       compulsivo e sregolato, quanto piuttosto la capacità di lavoro,
       di impresa, di progetto, di slancio, di creatività, di invenzione,
       di amore, di scambio, di apertura, di generazione.
       Desiderio non è solo consumazione dell'oggetto e di se stessi,
       ma  anche - come direbbe Lacan - ciò che resiste a qualunque
       sogno totalitario e a qualunque impresa di omologazione. In
       questo senso " il desiderio di avere un proprio desiderio" resta
       il fattore di resistenza a tutte quelle sirene suggestive che
       offrono la promessa di un'assimilazione dell'umano in una
       Comunità di monadi libere di godere senza limiti, in una
       Comunità iperedonista, dunque senza soggetto e fondata sul
       godimento seriale dell' Uno, come quello che la follia del
       discorso capitalista ha provato a realizzare. Non dobbiamo
       dimenticare che la parola " desiderio" non rinvia solo allo
       scandalo di una insoddisfazione che si rinnova perennemente,
       ma anche alla fertilità della generazione, alla soddisfazione
       del riconoscimento,all'esistenza di un orizzonte che è speranza,
       avvenire, frutto, realizzazione, visione, sogno, comunione
       senza promessa di liberazione, singolarità, dono, possibilità.
       La parola " desiderio" porta già nel suo etimo la dimensione
       della veglia e dell'attesa, dell'orizzonte aperto e stellare, dell'
       avvertimento positivo di una mancanza che sospinge alla
       ricerca. Il desiderio non può essere confuso col godimento
       autistico, non è volontà di godere, non è appropriazione delle
       risorse, accaparramento della terra, dominio, sopraffazione,
       sfruttamento. Il desiderio porta sempre con sé una povertà -
       una lontananza - che è un tesoro. Alcuni hanno ironizzato su
       questa versione del desiderio, vedendovi l'apologia di una
       teologia negativa. Ma gli psicoanalisti sanno che non c'è
       desiderio capace di generatività che  non includa la
       castrazione: non si può avere tutto, godere di tutto, sapere
       tutto, essere tutto.  (…)


              Massimo  Recalcati    da   Ritratti del desiderio


sabato 21 luglio 2018

QUELL' ANDARSENE NEL BUIO DEI CORTILI

 
 

                                                  L' amore era silenzioso come una congiura...



L' amore era silenzioso come una congiura
nessuno sapeva se la vita era immensa
oppure niente, se il tempo dilagava
oltre le colline oppure un dio venerando
impediva al gesto la sua crescita o impediva
alle more di restare sulle labbra.


                           ***


A volte, sull'orlo della notte, si rimane sospesi
e non si muore. Si rimane dentro un solo respiro,
- a lungo - nel giorno mai compiuto, si vede
la porta spalancata da un grido. La mano feriva
con precisione vicino alla dolcezza. Così
si trascorre ignoti dal primo sangue fino a qui,
fino agli attimi che tornano a capire e restano
imperfetti e interrogati.


    
     Milo De Angelis   da    Quell'andarsene nel buio dei cortili        



venerdì 20 luglio 2018

LES AMANTS ( René Magritte )

 
 
 

             " Amore è donare all'Altro quello che non si ha"

                                    Jacques Lacan


( Il dono d'amore è dono della propria mancanza, è dono all'amato della mancanza che l'amato sa aprire nell'amante.
E' dono del segno che l' Altro mi manca, che la sua esistenza sa scavare in me la mancanza ).

BEATA SOLITUDINE ( Introduzione )



L'uomo è l'unico tra i viventi ad avere la peculiarità di " guardarsi dentro". E in questa sua capacità di introspezione giunge alla consapevolezza di essere lo straordinario frammento di una gigantesca realtà che sconfina nell'infinito. Si rende conto non solo di essere fragile, ma di essere un " frammento di polvere fragile".
In tempi di ipertrofia dell'informazione e di spreco delle parole, il silenzio " parla" proprio perché non dice, e se in esso non si conosce tutta la verità, tuttavia si giunge alla certezza che la verità esiste. Solitudine e silenzio sono dunque necessari per un'igiene della psiche, per un'ecologia dello spirito, per nutrire una relazione feconda con noi stessi, ritrovando così - nel rapporto con gli altri - quell'armonia spesso compromessa da aggressività e violenza, abusi e nevrosi.
L'autore - Vittorino Andreoli - denuncia in questo testo ( e non solo ! ) il delirio delle metropoli contemporanee, mettendo in guardia dai danni dell'eccessiva mondanità, dell'ipocrisia delle relazioni, dell' iper- connessione virtuale.
Ecco allora l'assoluta necessità di ritrovare una dimensione contemplativa della vita per riappropriarci del senso delle nostre esistenze e per dare spazio a " quel monaco che si nasconde nel profondo di ciascuno di noi, al suo bisogno di solitudine e di mistero, perché una vita pienamente umana non può fare a meno dell'invisibile".


                       frida

BEATA SOLITUDINE ( il potere del silenzio ) 1

 
 

" Osserviamo tutti le nazioni così barbare come umane, quantunque per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane e diversamente fondate, custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti "  . ( Giambattista Vico )




LA CONDIZIONE UMANA

(…) Nel percorso dell'antropologia fino alla nascita della Civiltà
       Occidentale, il problema dell'esistenza di Dio è presente in
       maniera fortemente significativa e condizionante.
       Se si fa nascere la civiltà con il funerale : la cerimonia che si
       occupa di un defunto che - benché morto - si crede mantenga
       una presenza nel villaggio e continui a vivere, sia pure in
       forma diversa. Il funerale è il rito con cui si accompagna il
       defunto nel luogo in cui continuerà a vivere: ad esempio, la
       montagna, luogo inadatto all'uomo e - proprio per questo -
       possibile dimora dei morti. La scelta dell'ultima dimora è in
       parte condizionata dal luogo geografico. Presso le popolazioni
       Inuit ( leggi " Il Paese dalle lunghe ombre " , n.d.r. ), il viaggio
       è all'interno del mondo ghiacciato e la meta viene raggiunta
       navigando su un iceberg, su una lastra di ghiaccio. Presso
       queste popolazioni il funerale si compie prima della morte e il
       vecchio si allontana dall'igloo, come se il trapassato non
       dovesse nemmeno incontrare la morte, ma semplicemente
       raggiungere un luogo diverso e più adatto a continuare a
       vivere.
       La morte forse è la circostanza " naturale" per immaginare un
       altro luogo, che nelle sue espressioni giunge alla trascendenza,
       generata appunto dalla fantasia. Il funerale come viaggio, è
       certamente uno stimolo al pensiero, una spinta al grande
       salto dal visibile all'invisibile, dal sensoriale all'immaginario.
       E sarebbe incompleta questa " causa" se al pensiero non si
       legasse l'affettività, il legame con chi muore, che è ancora
       forte perché essenziale alla propria vita.
       Il funerale- in questo caso - è la dimostrazione della presenza
       del defunto che continua ad esserci sulla montagna o nella
       profondità del mare, e il legame è ancora più forte perché egli
       ha raggiunto un luogo da dove esercita con più forza le sue
       funzioni. L' identificazione del luogo, con il tempo, si fa sentire
       più netta e via via, una dimora vaga diventa sempre più
       precisa, fino a giungere alla tomba, che è il luogo di quel
       defunto e che deve essere esattamente individuato.
       La percezione della morte come perdita ha avuto, nel             
       passaggio da antropologia a storia una forza sconvolgente e
       ha creato un ambito del pensiero e dell'affettività, che è il
       primum movens per riuscire a legare l'uomo a ciò che non c'è
       più, e dunque a pensare a una vita che è quella del post
       mortem , necessaria per rispondere al bisogno di capire
      ( pensiero ), ma anche di vivere ( sentimento ).
       E' una grande mutazione dell'uomo perché segna anche la
       scoperta di un mondo interiore che nella sua definizione più
       semplice e primitiva permette di distinguere gli " imperativi
       della sopravvivenza" dai bisogni che - invece - nascono dal
       mondo dentro di noi e che formano il primo nucleo della
       costruzione della personalità.
       Non è esagerato - per analogia - chiamare questo evento il
       Big Bang  dell' " universo interiore " e anche del pensiero
       trascendente.  (…)


 Vittorino Andreoli  da  Beata solitudine ( il potere del silenzio )