sabato 31 marzo 2018

EXULTET

 
 
 
                    Exultet cantato dal Direttore della Schola Gregoriana Mediolanensis



      Il termine Exultet corrisponde alla prima parola del canto
      liturgico che, dall'alto del pulpito, veniva intonato dal diacono
      nel corso della cerimonia della notte del Sabato Santo.
      Tale canto, denominato praechonium paschale, aveva la
      funzione di annunciare alla comunità dei fedeli il mistero della
      Resurrezionee celebrare il rito dell'offerta del cero pasquale.
      Per esteso, lo stesso termine è passato ad indicare anche i
      rotoli sui quali il testo dell'inno è stato più volte trascritto e
      illustrato tra il X e il XIV secolo secondo una prassi attestata
      quasi esclusivamente nell' Italia meridionale.


      L' Exultet e la liturgia pasquale

      I rituali della Vigilia del Sabato Santo sono molto antichi.
      Essi derivano dall'usanza di restare in attesa per tutta la notte
      del giorno della Resurrezione. La Veglia prevede da sempre
      una serie di letture e di preghiere che si concludono con la
      celebrazione della Messa.Nel Medioevo essa,in quanto simbolo
      di rinnovamento, coincideva anche con il momento dell' 
      ammissione al Battesimo dei catecumeni.
      In tale contesto l'Exultet ha svolto un ruolo fondamentale.
      La sua proclamazione dall'alto dell'ambone costituiva infatti il
      momento culminante di tutto un  complesso cerimoniale che
      comprendeva, se pure con diverse varianti, il rito della
      benedizione del fuoco nuovo per il cero pasquale, quello dell'
      accensione del cero stesso da parte del diacono o del vescovo
      e la cerimonia del Lumen Christi. Quest'ultima prevedeva che
      il diacono, spesso a conclusione di una processione,esclamasse
      per tre volte le parole Lumen Christi ( Luce di Cristo ) e ad
      ogni enunciazione i fedeli dovevano rispondere, in modo
      sempre più trionfante, con l'invocazione Deo Gratias
     ( Rendiamo grazie a Dio ).
      La lettura solenne dell' Exultet seguiva subito dopo a
      conclusione del rituale.



      Il ciclo iconografico

      In quanto genere creato ad hoc, l'Exultet non si conforma ad
      una tipologia illustrata già esistente, ma è frutto di una vera e
      propria invenzione iconografica elaborata intorno al X sec.
      Per questo motivo le decorazioni non seguono uno schema
      predefinito, ma compongono un ciclo variabile che prevede
      l'illustrazione di soggetti diversi. Essi sono sostanzialmente
      riconducibili a tre ambiti tematici connessi al testo e alla
      liturgia pasquale : la storia sacra, le cerimonie liturgiche e i
      ritratti di contemporanei.
      Anche per la traduzione visiva del medesimo concetto vengono
      proposte differenti soluzioni.Ad esempio l'allegoria della Terra,
      Tellus, chiamata a celebrare la Resurrezione, può essere
      ritratta in veste di donna riccamente abbigliata, oppure come
      una figura, o come Cristo in trono con gli animali; la figura
      della Mater Ecclesia è invece talora indicata dalla comunità
      dei fedeli raccolti intorno al Vescovo; altre volte da una
      figura di donna, o da ulteriori varianti.
      Le scene bibliche sono numerose e tratte perlopiù dal Nuovo
      Testamento. Fanno eccezione pochi temi, quali la salvazione
      delle primogeniture israelitiche, il peccato originale, il 
      passaggio del Mar Rosso, che si ispirano a brani del Genesi e
      dell' Esodo contenuti nel Vecchio Testamento.
      L' Exultet si concludeva con le commemorazioni liturgiche,
      spesso accompagnate dal ritratto solenne e stereotipato dei
      personaggi politici o religiosi evocati.
   

                      ( f )
            
        

NELLA DIREZIONE DI...( La Pasqua adveniente ) 2

 
 

                            Se non fossi stato figlio di Dio, t'avrei ancora per figlio mio...



VIA CRUCIS

Solo calcai il torchio:
con me non era nessuno:
calcarono su di me tutti:
inebriato quasi spreco di sangue
in una rossa follia:
solo il torchio calcai:
liquido amore profuso
in estremo furore:
calcai il torchio, solo:
solo a torchiare,
solo a sprecare il sangue mio:
tutto il mio Sangue sparso,
tutto in me già arso
dall' Immacolato Cuore di Maria:
invisibile ardore, quaggiù:
l'incomprensibile amore del Padre.


              Clemente  Rebora    da       I Canti dell' infermità





RADONITZA ( Annuncio della Pasqua ai morti )

Vento di primavera
traslucido come spada:
esilia dal sépalo affilato
il boccio cremisi che ancora trema,
come dall'anima lo spirito,
il sangue dalla vena.
L'inverno, occulto stelo
che cullò le intenzioni, incubò le mortali esitazioni,
falcia senza un grido;
le psichiche vecchiezze recide
dalla terribile vita.
Pasqua d'incorruzione!
Nel vento di primavera
l'antica chiesa indivisa
annuncia ai morti che indivisa è la vita:
su lapidi d'ipogei
posa i sepali che ancora tremano
e al centro, al plesso, al cuore,
là dov'è sepolto il Sole,
là dov'è sepolto il Dono,
il piccolo uomo cremisi dal perenne tornare,
dell'umile, irriconoscibile
trasmutato tornare.
Pasqua che sciogli ogni pena!


         Cristina   Campo      da            La Tigre assenza  





PASQUA DEI POVERI

Forse per noi,che non abbiamo che pane,
forse più bella è la tua Santa Pasqua,
o Gesù nostro, e la tua mite frasca
si spande, oliva, nelle stanze quadre.

Povero il cielo e povere le stanze,
Sabato Santo, il tuo chiarore ci abbaglia,
e il nostro cuore fa una lenta maglia
col cielo, che ne abbraccia le speranze.

Semplice vita, alle nostre domande
tu ci rispondi: Su, coraggio, andate!
Noi t' ubbidiamo; e questa povertà
non ha bisogno più d'altre vivande.

Noi siamo tanti quanti alla campagna
sono gli uccelli sulle mosse piante,
cui sembra ancora che le parole sante
giungan col vento e l'acqua che li bagna.

A noi, non visti, nelle grigie stanze,
miriadi in  mezzo alla città che fuma,
Sabato Santo, la tua luce illumina
solo le mani - unica festa - stanche:

a noi la pace che verrà, operosa
già dentro il cuore e sulla mano sta,
che ti prepara - o Pasqua - e che non ha
che il solo pane per farti festosa.


          Carlo Betocchi   da      Tutte le poesie




venerdì 30 marzo 2018

NELLA DIREZIONE DI...( La Pasqua adveniente ) 1

 
 


                                                            " Elì  Elì   lemà  sabactàni..."


CROCIFISSIONE

A questo crocevia di tenebre
davanti a noi sorgi tremendo,
albero secco, stadera
che reggi il gran corpo inerte.

Un nudo legno trasversale
taglia lo spazio
e un nudo legno verticale
svetta oltre il tempo:

assi cartesiane
della vita e della morte,
intorno a cui si schiude
ora il nero quadrifoglio.

Nei lobi in alto, il vuoto e il terrore
come al grido :" Mio Dio
perché mi hai abbandonato?".
In basso, fatto roccia in tre figure,
tutto il dolore umano.

Ma ecco avanza l' Agnello vittorioso
verso la sua piagata controparte.
E un profeta ci addita - perentorio -
salvezza nella metafora.


             Margherita Guidacci  da         L'altare di Isenheim





ELEGIA PASQUALE

Pasqua ventosa che sali ai crocifissi
con tutto il tuo pallore disperato,
dov'è il crudo preludio del sole?
e la rosa la vaga profezia?
Dagli orti di marmo ecco l'agnello flagellato
a brucare scarsa primavera
e illumina i mali dei morti
pasqua ventosa che i mali fa più acuti.

E se è vero che oppresso mi composero
a questo tempo vuoto
per l'esaltazione del domani,
ho tanto desiderato
questa ghirlanda di vento e di sale
queste pendici che lenirono
il mio corpo ferita di cristallo;
ho consumato purissimo pane.

Discrete febbri screpolano la luce
di tutte le pendici della pasqua,
svenano il vino gelido dell'odio;
è mia questa inquieta
Gerusalemme di residue nevi,
il belletto s'accumula nelle
stanze nelle gabbie spalancate
dove grandi uccelli covarono
colori d'uova e di rosei regali,
e il cielo e il mondo è l'indegno sacrario
dei propri lievi silenzi.

Crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra
le bocche non sono che sangue
e i cuori non sono che neve
le mani sono immagini
inferme della sera
che miti vittime cela nel seno.


               Andrea  Zanzotto   da        Dietro il paesaggio





PERCHE' HAI GRIDATO...

Perché hai gridato
che Ti lasciava
se era Tuo padre
e T' amava?



ANCHE TUA MADRE

Anche tua madre
ha gridato.
S'è afferrata alla mangiatoia
quando dal ventre
le uscivi.
Sapeva anche lei
che nascendole Cristo
come Dio le morivi?



NON SAREI GIUDA

Non sarei Giuda.
Sarei chi uccide
colui che diceva
d'essere Dio.
Un delitto da strada,
un delitto da camera ad ore.
Un delitto soltanto
d'impossibile amore.



NON E' VERO

Non è vero.
La croce non si rinnova.
Chi non ha bevuto quel sangue
non potrà berlo mai più.
Chi non è stato Tuo amante
sarà per sempre un passante.


            Giovanni Testori   da      Nel tuo sangue


giovedì 29 marzo 2018

SI ALZA IL VENTO ( Epilogo ) 1

 
 

                   Mi hai davvero amato così tanto da non chiedermi niente?



30 Dicembre

La sera è avvolta nella quiete totale. Anche oggi lascio che i pensieri affiorino liberamente dal profondo del mio animo.
"La mia felicità non è superiore né inferiore a quella degli altri uomini. Qualsiasi cosa sia, un tempo ci faceva stare tanto in pena da innervosirci, mentre oggi, quando lo desidero, riesco quasi a rimuoverla dalla mia memoria. Eppure sento che il mio stato d'animo attuale ha quasi raggiunto una condizione di felicità, certo più oggi di quanto non l'abbia fatto in passato. Potrei dire che assomiglia alla felicità, ma con una nota di malinconia. Devo tutto a te. E' solo grazie a te, o forse a causa dell'isolamento dal resto del mondo e della vita in solitudine, che un codardo come me è riuscito a vivere fino ad oggi in maniera così spensierata. Eppure,
Setsuko, finora non ho mai pensato che il mio vivere da solo fosse solo per te. Qualsiasi strada io scelga, lo faccio solo in base alla mia volontà e seguendo il mio egoismo. Quand'anche lo facessi per te, nella misura in cui penso di agire per me e solo per me, non significa forse che sono abituato al tuo amore più di quanto non meriti?
Mi hai davvero amato da non chiedermi niente? "


              Tatsuo  Hori   da     Si alza il vento

SI ALZA IL VENTO ( Epilogo ) 2

 
 I miei pensieri non hanno fine. Decido improvvisamente dialzarmi e di uscire dalla baita. Come al solito sono in piedi sulla veranda. Sento il vento soffiare forte in lontananza, proveniente dalla direzione opposta a quella della valle.Continuo a stare lì, tendendo le orecchie a quel suono quasi se fossi uscito sulla veranda apposta per sentirlo.Ogni cosa, in quella valle che si distende sotto i miei occhi, mi era sembrata all'inizio un unico insieme appena illuminato dai riflessi della neve. Ora invece, mentre la osservo, si staglia nettamente nelle proprie linee e nelle proprie forme. Quasi non me ne rendo conto, forse perché i miei occhi si sono gradualmente abituati a quella vista, o forse perché le immagini che conservo nella memoria ne hanno involontariamente integrato i contorni.Ormai,  tutto di questa cosiddetta valle della felicità mi è familiare.E' così: mi sono abituato a vivere qui e credo che dovrei uniformarmi a tutti gli altri e chiamarla anch'io in quel modo.Anche se dall'altra parte della valle il vento forte provoca un gran mormorìo, qui tutto giace tranquillo. Solo talvolta si sentono scricchiolii arrivare dal bosco dietro la baita.Dev'essere il vento che, arrivando da lontano, agita i rami secchi degli alberi l'uno contro l'altro. Le raffiche che riescono a oltrepassarli, muovono ad intervalli le foglie secche ai miei piedi.     
Si alza un debole fruscìo.


                    Tatsuo  Hori     da     Si alza il vento

mercoledì 28 marzo 2018

SI ALZA IL VENTO ( Introduzione )

 
 


Questo libro è la trasposizione di un'esperienza realmente vissuta dall'autore, nonché uno spaccato della quotidianità giapponese della prima metà del Novecento.
Scritto nel 1936, nasce dall'esperienza della tubercolosi già descritta in Kaifukuhi , ma rimodellata sotto forma di sublimazione dell'amore che l'autore aveva provato per Yano Ayako, anche lei colpita dallo stesso male.
Hori conosce Yano a Karuizawa e si fidanza con lei nel 1934. Quando Yano si ammala di tubercolosi e  decide di soggiornare presso un sanatorio sulle Alpi giapponesi, Hori decide di accompagnarla e di rimanere con lei fino alla sua morte, avvenuta in dicembre.
Questo libro è la cronaca del loro amore, della felicità che ha accompagnato i due innamorati fino alla fine, pur nella consapevolezza che non avrebbero potuto avere un futuro.
La trama in sé non è ricca di avvenimenti, né culmina in avventure particolari: l'Io narrante, alter ego di Hori è uno scrittore che, durante la permanenza nel sanatorio, matura il desiderio di mettere per iscritto l' esperienza dell'amore verso la malata in maniera da poter dare una forma immortale perlomeno al loro amore, che risulta in qualche modo come " ricco di reciproche premure e che manifesta la propria luce pura e cristallina anche se all'interno di un presentimento di morte".
E' una vita nella morte, un amore che - con la sua calda umanità -  si spinge oltre, oltrepassando la morte stessa.
Dedicato quindi alla fidanzata scomparsa, questo testo è altresì una meditazione sulla vita, nutrito di letture e traduzioni di scrittori e poeti occidentali ( da Marcel Proust a Paul Valéry, a Rainer Maria Rilke ), ma rappresenta  nel contempo un'opera dal respiro squisitamente giapponese per la leggerezza del sentire e la gentilezza dei toni- privi della retorica che suscita naturalmente l'argomento - e che sanno avvolgere un dramma esistenziale e umano dentro un velo di pacata malinconia.


                  frida

SI ALZA IL VENTO 1

 
 

                                      " Si alza il vento: bisogna tentare di vivere "( P. Valéry)


(...) In quei giorni d'estate ero sempre al suo fianco, sdraiato all'
       ombra di una betulla bianca mentre tu - assorta  nella pittura -
       restavi in piedi al centro del prato ammantato di erba susuki.
      La sera,finito il lavoro,ti avvicinavi a me e insieme ci posavamo
      reciprocamente una mano sulla spalla per fissare in lontananza
      la linea dell'orizzonte, nascosta dai cumulonembi avvolti nel
      rosso crepuscolare. Allora, al calare del buio, ci sembrava che
      qualcosa proveniente dalla parte opposta iniziasse a prendere
      vita...
      Uno di quei pomeriggi, con l'autunno ormai alle porte, lasciato
      il tuo quadro sul cavalletto, mangiavamo frutta coricati all'
      ombra della solita betulla bianca. Nuvole come granelli di
      sabbia scivolavano nel cielo. Poi - all'improvviso - dal nulla
      si alzò il vento. Tra le foglie dell'albero sopra di noi iniziarono
      a ondeggiare macchie color indaco. Si allargavano, poi si
      restringevano. Quasi contemporaneamente il tonfo di qualcosa
      che cadeva tra i cespugli arrivò alle nostre orecchie.
      Sembrava il rumore del quadro che avevamo lasciato proprio
      lì,caduto insieme al cavalletto.Subito ti alzasti per raggiungerlo
      ma per non perdere l'attimo ti trattenni.
      Non volevo che ti allontanassi da me.
      Ti presi, e tu mi lasciasti fare. 

      Si alza il vento: bisogna tentare di vivere.    (...)    



         Tatsuo Hori   da      Si alza il vento


        

SI ALZA IL VENTO 2

 
 

Mi fermo, contemplo l'unico pallore che risalta in quello scorcio di buio, il volto dormiente di Setsuko...


(...) Quel verso era involontariamente scivolato dalla mia bocca.
      Lo ripetei a me stesso abbracciando le tue spalle, che in me
      avevano trovato un appoggio. Quando ti sciogliesti dal mio
      abbraccio, raggiungesti la tela non ancora asciutta sulla quale
      si erano incollate foglie e fili d'erba difficili da togliere con la
      piccola spatola per i colori, anche una volta riposizionata sul
      cavalletto. Poi ti rivolgesti verso di me...
     " Oh se mio padre ci sorprendesse in questo momento..."
      Il tuo sorriso era ambiguo.
    " Mio padre sarà qui in due o tre giorni", dicesti tutt'a un tratto
      una mattina, durante una passeggiata tra i boschi. Preso dallo
      scontento, rimasi in silenzio.
     " Quindi non potremo più fare queste passeggiate", continuasti,
      questa volta a voce bassa.
     " Qualsiasi passeggiata si può fare, basta volerlo ".
      Ancora visibilmente dispiaciuto, sentivo il tuo sguardo velato
      d'apprensione poggiarsi su di me, anche se lo stormire delle
      fronde in cima agli alberi sembrava voler catturare la tua
      attenzione.
    " Mio padre non vuole allontanarsi da me ".
    " Per cui dobbiamo dirci addio ? "
      La mia espressione doveva apparire contrariata quando infine
      ti ho rivolto lo sguardo.
    " Non abbiamo altra scelta"-
      Chiuso il discorso, avevi cercato di mostrarti sorridente, ma il
      pallore che in quel momento tingeva il tuo volto fino alle labbra
      era indescrivibile. Come mai eri cambiata così? Eppure
      sembravi affidarti a me in tutto e per tutto...
      Ero stanco di pensare, e salire quello stretto sentiero di
      montagna pieno di radici mi era sempre più difficile. Lo stesso
      valeva per tenere il tuo passo. Lasciai che mi precedessi.
      Visti da lì, gli alberi sembravano un fitto insieme di verde.
      L' aria era fredda e qua e là si vedevano i piccoli ruscelli che
      erano riusciti ad aprirsi un varco. Fu proprio lì che quel
      pensiero attraversò la mia mente.
      Ma certo! Come ti eri mostrata tanto dolce e arrendevole a me
      quell'estate in cui il caso ci aveva fatto incontrare, così ti
      mostravi con tuo padre, anzi, è proprio a tuo padre e al suo
      continuo sorvegliarti che avevi genuinamente affidato tutta te
      stessa... Non era forse così?
    " Setsuko", dissi fra me e me " se sei davvero così mi piaci
     ancora di più. Quando mi sarò sistemato, verrò a chiederti in
      moglie, ma promettimi che fino a quel momento rimarrai con
      tuo padre ".  (...)


              Tatsuo  Hori   da     Si alza il vento
      

SI ALZA IL VENTO 3

 
 

                        Eravamo più vivi della vita stessa, vivi a tal punto da esserne afflitti...



(...) Come per ottenere il tuo consenso - però - ti afferrai
      improvvisamente la mano.E di nuovo, mi lasciasti fare.Mano 
      nella mano, ci fermammo ad uno dei corsi d'acqua. Ai nostri
      piedi, punti di luce illuminavano le felci del sottobosco, dopo
      aver penetrato a fatica gli arbusti e gli innumerevoli rami che
     ne ostacolavano il passaggio.Iniziò a soffiare una dolce brezza .
     Il nostro animo era languido mentre in silenzio osservavamo
     quel paesaggio. Due o tre giorni dopo, una sera ti notai voltata
     di spalle mentre in mensa cenavi con tuo padre. Era venuto a
     prenderti.  Il portamento che, forse inconsciamente, assumevi al
     suo fianco, ti rendeva ai miei occhi un'estranea.
    " E se adesso la chiamassi? " pensai tra me e me. Ma ero sicuro
     che avresti fatto finta di niente, come se a pronunciare il tuo
     nome non fossi stato io.
    Di ritorno da una passeggiata solitaria, quella sera stessa decisi
    di attraversare il cortile dell'albergo. Non c'era nessuno, ma
    dando un'occhiata alle finestre, notai che la luce era ancora
    accesa in due o tre camere. Nell'aria si sentiva il profumo dei
    gigli selvatici, e iniziava a calare la nebbia. Come spaventate
    dal suo arrivo - poi - le luci si spensero una dopo l'altra, e 
    quando l'albergo fu completamente al buio, ecco il debole 
    rumore dell'aprirsi di una finestra. Guardai in quella direzione,
    e vidi che una giovane ragazza con indosso una camicia da
    notte color rosa pallido, si era affacciata.
    Eri tu. (...)


                Tatsuo  Hori       da         Si alza il vento     

 

SI ALZA IL VENTO 4

 
 
 
" Se dovessi camminare per l'oscurità della valle della morte,non temerei nessun male, perché tu sei con me " ( Salmo 23 )


(...) Ricordo ancora con chiarezza quella felice atmosfera così
      simile alla malinconia che, giorno dopo giorno dalla nostra
      partenza, aveva stretto il mio cuore.
      Iniziai a trascorrere le mie giornate chiuso in albergo,
      sorprendendomi serenamente assorto in quel lavoro che per
      lungo tempo avevo tralasciato per dedicarmi a te.
      Col passare delle stagioni arrivò finalmente anche il giorno
      prima della mia partenza. Dopo tanto tempo, uscii per una
      passeggiata. L'autunno aveva reso irriconoscibile l'interno del
      bosco, e tra gli alberi quasi spogli si scorgeva in lontananza
      una villa disabitata. L'odore umido dei funghi si confondeva
      con quello delle foglie secche. Che strano. Non mi ero accorto
      che fosse passato così tanto tempo dal nostro addio...
      Da qualche parte dentro di me ero convinto che la nostra 
      fosse una separazione momentanea:ecco perché quel cambiare
      delle stagioni mi era così inaspettato. Per me iniziò ad 
      assumere un significato nuovo, del tutto diverso. Percepivo il
      tutto vagamente, ma fui in grado di rendermene conto poco
      dopo.
      Una decina di minuti più tardi,degli alberi non c'era più traccia
      e al loro posto si era aperta tutt' a un tratto una vasta distesa
      che si estendeva in lontananza fino all'orizzonte. Mi ritrovai
      nel prato coperto di susuki. Decisi di stendermi all'ombra della
      betulla ormai ingiallita nello stesso posto di quest'estate e
      cercai di immaginarti al mio fianco immersa nella pittura.
      Quei giorni l'orizzonte era sempre coperto dai cumulonembi,
      ma ora potevo distinguere chiaramente ad una ad una tutte le
      bianche punte di quelle spighe che dolcemente danzavano al
      vento per confondersi in lontananza, fino alle montagne.
      Non riuscivo a staccare gli occhi da quei monti, e mentre
      cercavo a tutti i costi di memorizzarne i contorni, poco a poco
      iniziai a prendere coscienza di quello che per anni era rimasto
      nascosto dentro di me, e dei doni che la natura mi aveva
      riservato e che adesso vedevo con certezza. (...)


            Tatsuo  Hori   da       Si alza il vento
     

martedì 27 marzo 2018

L'AVVERSARIO





                                                  Dio, non punirci ancora se siamo vivi...



E' avventizio il mio essere reale.
Sleale è insistere su chi sono io.
Il punto di partenza è scontato -
l'arrivo è certo nello stato
attuale: morte come sostanza
o strato finale di un cuore malato.

Oh, vorrei rinascere, ritornare indietro
ma non posso. Troppo ho peccato
di peccati non miei, attribuiti
a posteri, mancati inganni.
Cerco amori nuovi, violente sere.
Perdono chiedo a chi non amai.
Forse verrò domani a un prato
verde - e non sarò più solo.



                                                              ***


Il sonno è una piccola morte
richiede commossa pazienza -
attenderlo è sperare
in una resurrezione antica:

io aspetto la morte
per dormire poche ore
nel caldo di un letto
intrecciato ad un corpo
infelice e sterile, il mio:
non siamo eterni
e questo cadavere intrigante
presto supereremo.



                                                                     ***


La vedo tutta lì  la sorte mia:
unico interesse di giornate
smarrire ormai è dietro di me,
e tanta avanti ne avrei potuto
avere, con dedizione e calma
al quotidiano scorrere del tempo.
Ignoro perché Qualcuno abbia
deciso il contrario.
Poveri, pochi anni
sono rimasti, gelidi, limitati;
li dubito e li annuso sperando
di moltiplicarli e cedo deluso
al rimpianto calunnioso - non so
più poetare, lo so, l'idea lucente
del nulla stasera non aggiunge
allegra compagnia. Oh come è finita
la speranza! Dio non punirci
ancora se siamo vivi.


              Dario  Bellezza     da           L' Avversario


venerdì 16 marzo 2018

Prima di partire per un lungo viaggio...

 
 



...pensa che non sarà mai né abbastanza lungo né sufficientemente lontano se non ti porterà dentro di te...( frida )


giovedì 15 marzo 2018

IL MISTERO ARNOLFINI 1


 Appena entrati al Groeningnuseum di Brugge, lo sguardo si  concentra su due grosse tavole olio su legno di Gérard David " Il giudizio di Cambise" e un brivido percorre la pelle dello spettatore: si assiste infatti allo scuoiamento di un uomo vivo. In queste due tavole, dipinte rifacendosi ad un racconto di Erodoto,viene raffigurato il giudizio del re Cambise di Persia nei confronti di un giudice corrotto di nome Sisamne. Il re in persona è presente all'arresto e la condanna alla "scuoiazione da vivo " viene eseguita in sua presenza.  (f. )

 
 
(...) Oltre che agli sguardi posati SUI dipinti, sono altrettanto sensibile agli sguardi colti dai pittori NEI loro dipinti. Il più delle volte - quando ricordo una tela - sono gli sguardi a tornarmi in mente per primi. Per esempio, l'impressione di orrore che mi ha lasciato il Il Giudizio di Cambise ha a che fare non soltanto con il supplizio in sé ( lo scorticamento di Sisamne  non è dopotutto che una lezione di anatomia fra le tante ) quanto con l'espressione del condannato al momento dell'arresto: Sisamne non guarda più niente!
Questa è la cosa da cui non riesco a liberarmi: lo sguardo vuoto del condannato. E quelli dei diciassette uomini che gli si affollano intorno e non lo guardano. Come se lui già non esistesse più. Neanche lo sgherro che lo afferra per il braccio guarda il condannato a morte. Proprio questa assenza generale di sguardo, questo unanime abbandono dell'accusato alla sua fissità attonita, è la cosa che mi ha reso indimenticabile il dittico di Gérard David, visto un mattino d'autunno nel museo di Bruges.
Ed è la cosa che mi colpisce nei coniugi Arnolfini : non si guardano. (...)
 
 
 Daniel Pennac      ( Prefazione da      Il Mistero Arnolfini )

IL MISTERO ARNOLFINI 2

 
 

" Guardate, guardate ancora, guardate sempre: solo così si arriva a vedere"  ( J.M. Charcot )


(...) Come Jean-Philippe Postel,anch'io conosco gli Arnolfini.Meno
      intimamente di lui - certo - ma li conosco. Li ho incontrati un
      pomeriggio di giugno alla National Gallery. Da allora non mi
      hanno più lasciato. Quando penso a loro, è questa assenza di
      sguardo che si impone all'istante. Nel mio ricordo, tutta la tela
      si organizza attorno a questi sguardi che non si incrociano.
      E quindi, cosa vedono queste due solitudini? A cosa pensano?
      E noi, in piedi da soli davanti ai coniugi Arnolfini, cosa 
      vediamo?
      Forse non mi sarei posto queste domande se non mi fossi 
      sentito a mia volta osservato mentre guardavo gli Arnolfini.
      Il loro vicino di parete - se così posso esprimermi - e'
      l' Uomo con il turbante rosso , con ogni probabilità Jean van
      Eyck in persona. Il volto impenetrabile, la bocca senza labbra,
      gli occhi severi e scrutatori, quest'uomo posa su ogni visitatore
      piazzato davanti ai Coniugi Arnolfini uno sguardo che pare
      domandare: allora cosa vede?
      Palesemente non nutre nessuna illusione sulla pertinenza delle
      risposte. Ora, dal 1434 in poi, le risposte sono state 
      innumerevoli: non si contano più le conferenze, gli opuscoli, i
      monologhi, le chiacchiere mondane e i sussurri a proposito di
      questa coppia di sposi. Niente sembra scalfire  l'uomo dal
      turbante rosso. E' il solo a sapere cosa succede in questa
      camera, fra quest'uomo e questa donna. Immortalatosi dentro
     la propria cornice, Van Eyck si diverte - molto intimamente -
     delle interpretazioni che devono subire i due personaggi.
     La donna incinta, il marito distante, le mani che si sfiorano, lo
     specchio ( se ne sarà parlato - eh - delle cose che si vedono in
     questo specchio! )
     Van Eyck ha sentito tutto...  (...)


             Daniel Pennac    ( Prefazione da   Il Mistero  Arnolfini  )

IL MISTERO ARNOLFINI 3

 
 

                   " Jean van Eyck, il primo pittore del nostro tempo " ( Bartolomeo Facio )             


(...) Il ritratto detto dei Coniugi Arnolfini fu dipinto da Jean van
      Eyck nel 1434: enigmatico, di una strana bellezza, senza
      precedenti né equivalenti nella storia della pittura.
      Ma forse - dopotutto - non è stato dipinto nel 1434: tutto ciò
      che sappiamo in fatto di data sta in una frase sibillina che
      funge da firma, scritta con arte, in cattivo latino sopra allo
      specchio :

                               Johannes de Eyck fuit hic
                                                1434

     Non fecit o complevit, ma fuit hic .
     Non Jan van Eyck  fece o terminò  questo dipinto nel 1934, ma
    "Jan van Eyck fu qui nel 1434. Oppure: Jan van Eyck  fu
      questo ( uomo ) nel 1434."
      La frase è doppiamente ambigua: non dice che il dipinto risale
      al 1434, ma che in quell'anno si situa la scena rappresentata.
      E si guarda bene dall'informarci se - di tale scena - Van Eyck
      fu testimone o protagonista. 
      Pone il dipinto sotto il segno del doppio senso.
      Grazie ai documenti contabili della corte di Borgogna ne
      sappiamo più su Van Eyck che su qualsiasi altro pittore del
      suo tempo, ma di quanto servirebbe per tessere un romanzo
     (ma questo non è un romanzo, è piuttosto un'indagine,
      un'analisi ) e tuttavia parti consistenti della sua biografia
      rimangono oscure.
      Cosa si può dire di  Jean van Eyck? Il luogo e la data di nascita
      sono ignoti. Gli storici lo fanno nascere in Fiandra intorno al
      1390, forse a Maaseik, sulle rive della Mosa o forse altrove.
      Sarebbe vissuto all'Aja e in seguito a Lilla, prima di stabilirsi
      a Bruges dove morì nel 1441. (...)


     Jean - Philippe  Postel  da     Il Mistero Arnolfini

IL MISTERO ARNOLFINI 4


(...) Per quanto si sa, nessun pittore prima di lui aveva mai
      raffigurato un uomo e una donna in una camera da letto.
      Annunciazioni, Natività, Madonne col Bambino, Crocefissioni,
      Martiri, Santi, qualche scena biblica, ecco i soggetti trattati da
      tutta la pittura di cavalletto occidentale agli inizi del ' 400: con
      foglia d'oro, per la maggior gloria di Dio. Tutta la pittura o
      quasi. Negli anno 1360 - 1370 il primo ritratto profano
      conosciuto dell'era cristiana ( una tempera all'uovo su fondo
      in gesso non firmata effigiante il re di Francia Giovanni il
      Buono ) aveva aperto una breccia dove si infilarono a ruota -
      trovando grazioso farsi ritrarre, re e regine, duchi e duchesse,
      principi e principesse, imitati un po' più tardi da tutti i
      personaggi importanti, poi da quelli molto ricchi.
      E di punto in bianco, nel 1434, I Coniugi Arnolfini. O piuttosto-
      siamo precisi - Hernoul- le -Fin con la moglie , come recita
      la prima descrizione nota del dipinto .
      Un uomo e una donna, in piedi in una camera da letto, si danno
      la mano. Di sicuro ricchi, a giudicare dalle apparenze ( mobili
      delicatamente intagliati, specchio sofisticato, splendido
      candeliere d'ottone, tendaggi sfarzosi, tappeto d' Oriente, vesti
      foderate di zibellino ) ma certo non facenti parte dei grandi di
      questo mondo, altrimenti lo sapremmo.
      E subito una domanda: chi sono? A leggere la miriade di
      articoli dedicati al dipinto dalla seconda metà del XIX secolo
      in poi, la risposta a questa domanda pare essere la condizione
      necessaria e sufficiente per la sua comprensione.
      Ora, di risposte non ne abbiamo, ma vedremo che la parola
      giusta sarebbe invece: cosa fanno? (...)


       Jean - Philippe  Postel   da      Il Mistero Arnolfini


martedì 13 marzo 2018

NOTTI SENZA CHI AMI

 
 

             " Ti aspetto. Scrivimi. Entra - stanotte - nei miei sogni..." ( M. Cvetaeva )



Notti senza chi ami - e notti
con chi non ami e grandi stelle
sopra il viso ardente e braccia
protese verso Colui
che non ha inizio e non ha fine,
che non può esserci - e deve esserci...
E lacrime di un bambino per un eroe,
e lacrime di un eroe per un bambino,
e grandi montagne rocciose
sul petto di chi  - quaggiù - dovrà presto...

Ora so ciò che ha inizio e ciò che ha fine,
ora so tutto il segreto sordomuto
che si chiama, nella povera lingua
sgrammaticata degli umani - Vita.


            Marina  Cvetaeva       da            Scusate  l' amore

domenica 11 marzo 2018

POI TANTO LA VITA SUCCEDE...

 
 

" Domenica saremo insieme cinque, sei ore: troppo poco per parlare, abbastanza per tacere, per tenerci per mano, per guardarci negli occhi "  ( F. Kafka )


Poi tanto la vita succede
come alla tele, si fulmina un led
e sei costretto a buttarla,
magari tenere la gabbia di legno
per metterci dentro farmaci o liquori.
Ma questa domenica è così dolce
i colombacci sul tetto d'ardesia
le foglie pendono a una minaccia d'aria,
possiamo lasciar perdere, tirare fino a sera,
andare a letto più tardi.


           Flavio  Santi  in   Nuovissima poesia italiana


giovedì 8 marzo 2018

QUESTO E' IL MIO SANGUE ( Introduzione )


(...) Per quasi quarant'anni, ossia per 2400 giorni, le mestruazioni accompagnano la vita di ogni donna. Eppure rimangono un argomento circondato da silenzio e da pudore, se non vergogna. Perchè abbiamo tanta paura di un processo naturale che ci permette di dare la vita? Perché tanti bisbigli sull'argomento, mentre siamo pronte a discutere con disinvoltura su qualsiasi tematica personale o sociale?
Mescolando antropologia e storia, economia, medicina ed esperienza personale, l'autrice affronta un argomento delicato ma
insospettabilmente accattivante, riuscendo con una prosa vivace e non priva di qualche tocco ironico, a dimostrare quanto sia complesso e ricco di sfaccettature il principale protagonista della vita femminile.
E quanto le superstizioni, le leggende e i non detti abbiano influito per secoli sulla discriminazione delle donne.
Sorprendente, chiaro e scientificamente accurato Questo è il mio sangue, oltre ad essere un appassionato viaggio alla scoperta di un fenomeno naturale, è anche un manifesto di una nuova coscienza femminile. Perché parlare apertamente di mestruazioni significa- per ogni donna - accedere ad una maggior consapevolezza di sé, del proprio corpo e della propria identità.



                      frida



LE " INDISPOSIZIONI" DELLE DONNE 1

 
 

" Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni e chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera"  ( Libro del Levitico )



(...) Ippocrate, il progenitore dei medici, ha una grossa
      responsabilità nell'errata percezione che abbiamo delle
      mestruazioni. Aveva infatti osservato che nei giorni prima del
      ciclo, molte donne soffrivano di emicranie, crampi, sbalzi
      d'umore, dolori muscolari e che questi disturbi cessavano all'
      arrivo delle mestruazioni. Ne aveva concluso che per
      mantenersi in buona salute era indispensabile sanguinare,
      perché questo permetteva di espellere gli " umori cattivi " che
      altrimenti intossicavano l'organismo.
     " Se a una donna non vengono le mestruazioni , un'emorragia
      del naso è buona cosa", sostiene nel suo famoso trattato,
      perché in tal modo la donna eliminerebbe l'eccesso di sangue
      che l'avvelena. Così, è a Ippocrate che dobbiamo la deleteria
      pratica del salasso, rimasta in uso fino al XIX secolo.
      Somministrato sia agli uomini che alle donne ( anche incinte ),
      ha causato numerose guarigioni definitive per decesso del
      paziente.
      Questa idea è sopravvissuta tanto a lungo che poco meno di
      un secolo fa, nel 1920, il dott. Béla Schick formulava ancora
      la teoria delle menotossine. Dopo aver regalato uno spendido
      mazzo di rose a una ragazza mestruata, aveva infatti
      constatato che il giorno dopo queste erano già appassite e ne
      aveva dedotto che le donne indisposte producevano secrezioni
      nocive capaci di far marcire praticamente qualsiasi cosa, a
      cominciare dai vegetali. In seguito questa teoria è stata
      invalidata, ma veniva a confermare pregiudizi molto radicati
      nella cultura popolare, risalenti a tempi antichi.(...)


Elise Thiémbaut  da  Questo è il mio sangue ( Manifesto contro il tabù delle mestruazioni )