venerdì 12 maggio 2017

ALCESTI ( R.M.Rilke )

 
 


  Admeto e Alcesti, dal Sarcofago di C. Junius Euphodus e Metilla Acte ( Musei Vaticani).


La vicenda di Alcesti è strettamente legata a quella di Admeto, suo sposo.
Admeto, re di Fere in Tessaglia, è un personaggio della mitologia greca. Egli venne aiutato dal dio Apollo ad ottenere la mano della
principessa Alcesti, figlia del re Pelia. Alcesti aveva così tanti
pretendenti che Pelia stabiliì per loro un compito apparentemente
impossibile : avrebbero cioè dovuto legare al giogo di una biga
un cinghiale ed un leone. Apollo imbrigliò gli animali e Admeto
guidò la biga fino a Pelia, riuscendo così a sposare Alcesti.
Admeto tuttavia si dimenticò di fare un sacrificio alla dea Artemide, protettrice delle vergini. La dea, offesa, riempì la camera nuziale di serpenti e nuovamente Apollo giunse in suo soccorso.
Ma l'aiuto più grande che il dio diede ad Admeto fu quello di
  persuadere le Moire  ( divinità che presiedevano alla vita dei mortali ) a rimandare il giorno della sua morte:
 Apollo le fece ubriacare e queste accettarono il rinvio, a patto che Admeto fosse stato in grado di trovare qualcuno che morisse
al posto suo. Admeto credette inizialmente che almeno uno
 dei suoi anziani genitori sarebbe stato lieto di prendere il posto
 del figlio. Ma così non fu. Quando  fu chiaro che questi non
 erano disponibili, fu sua moglie Alcesti a scegliere di
morire al suo posto . La scena della morte viene descritta nell'
" Alcesti" di Euripide, dove Tanatos, il dio della morte, conduce
Alcesti negli Inferi. Mentre Alcesti vi discende, Admeto scopre di
non voler più vivere. La situazione viene salvata da Eracle che
discende negli Inferi per salvare Alcesti, lottando con Tanatos, fino
a quando il dio accetta di liberare la donna.

La lirica di Rilke ci descrive il momento culminante della vicenda,
quando Alcesti, per il grande amore che portava al marito, decide di sacrificare la propria vita al posto suo.
Questa poesia è - in sostanza - un grande inno all'amore.

                                                 ( f )




" A un tratto il messo era comparso, come
  un nuovo giunto, immerso nel tumulto
  della festa di nozze, fra la gente.
  Ed essi, i bevitori, non sentirono
  il dio dal chiuso andare, che portava
  la sua divinità come un mantello
  umido, e parve loro uno dei tanti
  mentre passava. Ma improvvisamente
  vide in mezzo ai discorsi uno degli ospiti
  a capo della tavola lo sposo
  come non più giacente, ma rapito
  in alto, rispecchiare dal profondo
  un'ombra estranea che paurosamente
  gli si volgeva...E subito fu chiaro,
  fu calma, solo con un resto
  a terra di torbido rumore, un gorgogliare
  di balbettii cadenti, già corrotti,
  di sorde risa rattenute. Allora
  riconobbe il dio, l'agile dio
  che stava, pieno della sua missione,
  implacabile, - e quasi si comprese.
  Pure, quando fu detto, parve più
  d'ogni scienza, cosa da non comprendere.
  Deve morire Admeto. Quando? . Adesso.
  Ma egli ruppe la scorza del dolore
  in pezzi e ne distese alte le mani,
  come per trattenere il dio fuggente.
  Anni chiedeva, solo un anno ancora
  di giovinezza, mesi, pochi giorni,
  ah, non giorni, ma notti, una soltanto,
  solo una notte: questa notte: questa.
  Il dio negava. Gridò allora Admeto,
  gridò vani richiami a lui, gridò,
  come gridò sua madre al nascimento.

  Ed ella venne a lui, la vecchia donna,
  e anche il padre venne, il vecchio padre,
  e stettero invecchiati, incerti, presso
  lui che gridava e a un tratto fissò in loro
  lo sguardo, s'interruppe, inghiottì, disse:
 " Padre,
  importa molto a te di questo avanzo
  di vita che ti vieta ormai l'amplesso?
  Su, gettalo. E anche tu, tu, vecchia donna,
  Matrona,
  perché vivi tu ancora? . Hai partorito. "
  E li teneva vittime all'altare
  in una presa. Ad un tratto lasciò i vecchi,
  li spinse via da sé mentre chiamava
  anelante, ispirato : Kreon! Kreon!
  E solo questo. Solo questo nome.
  Ma sul suo viso quello che non disse
  era impresso inattesa senza nome;
  e ansante verso il giovane, il diletto
  amico, oltre la tavola sconvolta
  si protendeva: i vecchi, vedi, sono
  consunti - misero riscatto - e poco
  valgono, mentre tu nella pienezza...

  Ma l'amico era come dileguato.
  Allora tacque, e chi venne fu lei,
  esile forse più di prima, e lieve
  e mesta nella sua veste nuziale.
  Gli altri non sono che la strada a lei
  che viene, viene... (e subito sarà
  tra le braccia che s'aprono al dolore.)
  Ma Admeto attende ed ella non a lui
  si volge. Parla al dio che la comprende,
  e tutti la comprendono nel dio.

  Nessuno è a lui compenso. Io solamente.
  Io lo sono. Perché nessuno è al fine
  come me. Cosa resta a me di quello
  ch'ero qui? Cosa resta oltre il morire?
  Lei non ti ha detto nel mandarti a noi
  che quel giaciglio che di là ci aspetta
  è d'oltretomba? . Io già presi commiato,
  io presi ogni commiato.
  Nessun morente più di me, che vengo
  perché tutto, sepolto sotto quello
  che è il mio sposo, svanisca, si dissolva.
  Prendimi dunque: prendimi per lui.

  Come la brezza che si leva al largo,
  il dio si avvicinò, quasi a una morta
  e fu lontano subito dall'uomo
  a cui in un breve gesto egli donava
  tutte le cento vite della terra.
  Admeto, vacillante, li rincorse
  per aggrapparsi, come in sogno. E loro
  erano già dove le donne in pianto
  gremivano l'uscita. Ma una volta
  ancora egli le vide in viso, indietro
  rivolto, in un sorriso chiaro come
  una speranza, una promessa : a lui
  tornare adulta dalla cupa morte,
  a lui vivente...

  Allora egli le mani
  premette sulla fronte- inginocchiato -
  per non vedere più che quel sorriso.  "


       Rainer Maria Rilke   da      Dalle nuove poesie
 
  



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