mercoledì 25 gennaio 2017

L' ISOLA DI ARTURO



(...) I primi raggi di sole, interrotti e corruschi, si allungavano sul
      mare quasi liscio. Io pensai che fra poco avrei veduto Napoli,
      il continente, le città, chissà quali moltitudini! E mi prese una
      smania improvvisa di partire, via da quella piazza, da quella
      banchina. Il piroscafo era già là, in attesa. E a guardarlo, io
      sentiii tutta la stranezza della mia tramontata infanzia. Aver
      veduto tante volte quel battello attraccare e salpare, e mai
      essermi imbarcato per il viaggio! Come se quella - per me -
      non fosse stata una povera navicella di linea, una specie di
      tranvai; ma una larva scostante e inaccessibile, destinata a chi
      sa quali ghiacciai deserti !. Silvestro ritornava coi biglietti, e
      i marinai andavano disponendo la scaletta per l'imbarco.
      Mentre il mio balio conversava con loro, io, senza farmi
      vedere, trassi di tasca quel cerchietto d'oro che N. mi aveva
      inviato la sera prima, e di nascosto lo baciai. A riguardarlo, ad
      un tratto, una debolezza inebriante mi oscurò la vista. In quel
      momento, l'invio dell'orecchino, mi tradusse tutti i suoi
      significati : d'addio, di confidenza, e di civetteria amara e
      meravigliosa! Così, adesso, avevo saputo che era anche civetta
      la mia cara innamoratella! Senza conoscersi, certo, ma lo era.
      Difatti, quale altro saluto di donna potrebbe mai esprimere una
      civetteria più bella di questa sua, nella sua ignoranza?
      Mandarmi in ricordo non il segno d'una mia carezza o di un
      bacio, ma di un maltrattamento infame. Come a dirmi: anche
      i tuoi maltrattamenti sono cose d'amore, per me.
      Provai la tentazione furiosa di tornare indietro, correndo fino
      alla Casa dei guaglioni. E di coricarmi accanto a lei, di dirle :
     "Fammi dormire un poco insieme a te. Partirò domani. Non
      dico che dobbiamo fare l'amore, se tu non vuoi. Ma almeno
      lascia che io ti baci qua, all'orecchio, dove ti ho ferito".
      Già però il marinaio, ai piedi della scaletta, stracciava i nostri
      biglietti per il controllo; già Silvestro saliva, assieme a me,
      la scaletta. La sirena dava il fischio della partenza.
      Come fui sul sedile accanto a Silvestro, nascosi il volto sul
      braccio, contro lo schienale. E dissi a Silvestro : " Senti, non
      mi va di vedere Procida che si allontana e si confonde, diventa
      quasi una cosa grigia...Preferisco fingere che non sia esistita.
      Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà
      meglio ch'io non guardi là. Tu avvisami, fino a quel momento."
      E rimasi col viso sul braccio, quasi in un malore senza nessun
      pensiero, finchè Silvestro mi scosse con delicatezza, e mi disse :
      " Arturo, su, puoi svegliarti".
      Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme,
      sconfinata come un oceano. L' isola non si vedeva più.  (...)


           Elsa  Morante  da      L' Isola di Arturo

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