sabato 21 gennaio 2017

SULLA BANALITA' DEL MALE

 
 



Nel 1961, Hannah Arendt ( filosofa- allieva di Heidegger - storica
e scrittrice tedesca naturalizzata statunitense ), seguì le 120 sedute del processo Eichmann ( il famigerato criminale nazista ) come
inviata del settimanale New Yorker a Gerusalemme. Il resoconto di quel processo e le considerazioni che lo concludevano furono
pubblicate sulla rivista e poi riunite nel 1963 nel libro " La
banalità del male". La prima reazione della Arendt alla vista di
Eichmann fu più che sinistra : lei sostenne che " le azioni erano
mostruose, ma che chi le compì era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso". Ciò che la Arendt scorgeva in Eichmann
non era neppure stupidità, ma qualcosa di ancor più negativo: l'
incapacità di pensare :il criminale aveva sempre agito all'interno
dei ristretti limiti permessi dalle leggi ( naziste ) e dagli ordini.
Quegli atteggiamenti erano la componente fondamentale di quella
che poteva essere vista come cieca obbedienza. Inoltre, egli non era l'unica persona che appariva normale, mentre gli altri
burocrati apparivano come mostri, ma vi era una massa compatta
di uomini " perfettamente normali " i cui atti erano mostruosi.
Dietro questa  terribile " normalità" della massa burocratica, che  era capace di commettere le più grandi atrocità che il mondo avesse mai visto, la Arendt rintracciava la questione della
" banalità del male ".




                                        (  f. )


                      

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