giovedì 29 dicembre 2016

REQUIEM PER UN'AMICA 3



Non spaventarti se adesso comprendo, ah
ecco che sale in me: non posso altrimenti,
devo comprendere anche a costo di morirne.
Comprendere che sei qui. Comprendo.
Proprio come a tentoni un cieco comprende una cosa,
io sento la tua sorte e non so darle nome.
Lamentiamo insieme che uno ti abbia
presa dal tuo specchio. Puoi ancora piangere?
Non puoi. L'afflusso potente delle tue lacrime
l'hai trasformato nel tuo maturo contemplare,
e stavi per convertire così
ogni tuo umore in una forte esistenza
che cresce e circola, in equilibrio e alla cieca.
Allora ti strappò un caso, il tuo ultimo caso
ti strappò indietro dal tuo progresso estremo
giù in un mondo dove gli umori vogliono.
Non ti strappò interamente : strappò solo un pezzo
dapprima, ma allorché attorno a quel pezzo la realtà
aumentò di giorno in giorno sino a renderlo pesante,
tu avesti bisogno di te intera: allora reagisti
e ti staccasti a frammenti dalla legge
con fatica: perché avevi bisogno di te. Allora
ti sgombrasti e dissotterrasti dal caldo humus notturno
del tuo cuore i semi ancora verdi
da cui sarebbe germogliata la tua morte: la tua,
la tua propria morte, corrispondente alla tua propria vita.
E li mangiasti, i chicchi della morte tua,
come tutti gli altri, mangiasti i suoi chicchi
e ti restò un sapore di dolcezza
che non supponevi, ti vennero labbra dolci -
tu, ch'eri dolce già oltre nei sensi.
Oh, lamentiamo. Sai come il tuo sangue
tornò esitante e controvoglia da una circolazione
senza pari allorché lo richiamasti?
Come cominciò confuso il piccolo circolo
del corpo, come entrò pieno di sospetto
e di stupore nella placenta
e fu improvvisamente stanco di quel lungo ritorno?
Tu lo spronasti, lo spingesti avanti,
lo tirasti a strattoni al focolare
come si tira un branco di animali al sacrificio;
e in più volevi che ne fosse lieto.
E ci riuscisti infine: fu lieto
e accorse e si concesse. A te sembrò,
poiché eri abituata ad altre proporzioni,
che sarebbe stato soltanto per un poco; ma
ora eri nel tempo, e il tempo è lungo.
E il tempo passa,e il tempo aumenta,e il tempo
è come una recidiva di una lunga malattia.
Quanto fu breve la tua vita se la compari
a quelle ore in cui sedevi e
tacendo piegavi le tante forze del tuo
tanto futuro verso quel nuovo germe di bambino
che di nuovo era destino. Oh lavoro penoso!
Oh lavoro oltre ogni forza! Lo svolgevi
giorno per giorno, ti trascinavi ad esso
e traevi la bella trama dal telaio
e impiegavi tutti i tuoi fili ad altro scopo.
E alla fine ti restò il coraggio di festeggiare.
Perché una volta a capo, volesti una ricompensa,
come i fanciulli quando hanno bevuto
l'infuso dolceamaro che forse ristabilisce.
Così ti premiasti  - ché da ogni altro
eri troppo lontana, e ancora adesso; nessuno
avrebbe potuto immaginare quale premio ti andasse bene.
Tu lo sapevi: sedevi ritta nel letto del parto
e innanzi a te stava uno specchio che ti restituiva
interamente tutto. Ora, questo " tutto" eri tu
e interamente innanzi, e dentro lì era solo inganno,
il bell'inganno di ogni donna cui piace
mettersi gioielli e pettinarsi e rifarsi i capelli.
Così moristi come un tempo morivano le donne,
moristi all'antica nella casa calda,
la morte delle puerpere che vogliono
rinchiudersi e non lo possono più,
poiché quel buio che anche dettero alla luce
ritorna ancora e preme ed entra.


           Rainer Maria  Rilke





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