giovedì 29 dicembre 2016

REQUIEM PER UN'AMICA 4



Oh non si sarebbe  tuttavia dovuto trovare
delle prefiche? Femmine che piangono
per denaro e che si possono pagare
perché urlino la notte, quando si fa silenzio.
Usanze, si! - non abbiamo abbastanza
usanze. Tutto va e finisce in chiacchiera.
Così devi venire qui tu, morta , e qui con me
recuperare lamenti antichi. Odi che sto lamentando?
Vorrei gettare la mia voce come
un panno sui cocci della morte tua
e tirarla con violenza finchè va in brandelli,
e tutto quanto dico dovrebbe così
andare e congelare avvolto negli stracci di questa voce -
si restasse al lamento. Ma adesso accuso :
non quell'uno che ti ritrasse da te
( non arrivo a distinguerlo, è come tutti ),
ma tutti accuso nella sua persona : il maschio.
Se in qualche parte affiora dal profondo
un tratto di me bambino che ancora non conosco,
forse il tratto più essenziale e puro della mia infanzia -
non voglio saperlo. Un angelo voglio
farne senza neanche guardare,
e lo voglio  lanciare nelle prima fila
di angeli clamanti che ricordano Dio.
Ché questo soffrire dura già da troppo,
e nessuno ne è capace: è troppo gravoso per noi,
il soffrire arruffato del falso amore che,
poggiando su prescrizione come su abitudine,
dice di essere un diritto e prolifera dal torto.
Dov'è un maschio che ha diritto al possesso?
Chi può possedere ciò che non tiene se stesso,
ciò che di tempo in tempo solo si prende felicemente
al volo e si ributta lì come un bimbo la palla?
Quanto poco l'ammiraglio può fissare
una nike alla prua della nave
quando la levità segreta del suo nume
la leva via di colpo nel chiaro vento marino,
altrettanto poco può uno di noi chiamare
la donna che non ci scorge più e
prosegue su una striscia sottile della sua
esistenza come per un miracolo, senza infortuni -
a meno che non si abbia vocazione e gusto della colpa.
Ché questo è colpa, se c'è una qualche colpa:
non arricchire la libertà della persona amata
di tutta la libertà che uno procura in sé.
Non abbiamo, quando amiamo, appunto solo questo:
lasciar l'un l'altro a sé; ché il tenerci
ci risulta facile e non è neanche da imparare.


            Rainer  Maria  Rilke




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